PRESENZA REALE

Giovedì Santo – Messa in Cœna Domini

Le letture del giovedì santo sono tutte ambientate in contesti conviviali. Viene subito da chiedersi se la salvezza non sia intimamente legata al nostro bisogno di nutrimento. Riguardano l’organizzazione di una cena e la manducazione di un agnello le istruzioni della Pasqua in Egitto. È sempre durante una cena che i discepoli vengono raggiunti nel basso dei piedi dal loro Signore e Mastro, con un gesto di invincibile (com)passione. Nella cornice di quell’ultima cena Gesù pronuncia le parole di eterna alleanza che paolo ricorda ai cristiani di Corinto. 

«Questo è il mio corpo, che è per voi;
fate questo in memoria di me» (1Cor 11,24)

Perché è così determinante per Dio raggiungerci proprio nel cuore di un momento così ordinario e, al contempo, essenziale alla vita? Forse perché è proprio a partire dal cibo che noi impariamo a riconoscere l’amore. Ricevere nutrimento, per noi, non è solo una questione di sopravvivenza, ma di quintessenza. Non possiamo vivere senza qualcuno che si prenda cura di noi, ci nutra, ci faccia crescere. Ecco perché Dio sceglie di mostrarsi e salvarci proprio attorno a una mensa. Là dove siamo costretti a riconoscere che la vita da soli non possiamo darcela.

«Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, 
anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. 
Vi ho dato un esempio, infatti, 
perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,14-15)

Mentre Mosè spiegava agli ebrei come l’agnello andava mangiato, il Signore Gesù mostra ai discepoli come bisogna fare dopo aver mangiato: chinarsi nel servizio, offrire se stessi, diventare nutrimento. La celebrazione dell’eucaristia — che il quarto vangelo non racconta ma presuppone — ci educa a diventare cibo per gli altri, a consegnarci per amore. Non però come schiavi, ma come uomini e donne liberi. Per questo restano imprescindibili le prescrizioni dell’Esodo, da non leggersi solo come un invito a consumare in fretta e in vigilanza il pasto, ma anche come una raccomandazione a mangiare per potersi muovere e per affrontare con regalità il santo viaggio della vita. 

Ecco in qual modo lo mangerete: 
con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; 
lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore! (Es 12,11)

È proprio la regalità l’atteggiamento che Gesù cerca di trasmettere ai discepoli, chinandosi ai loro piedi, non prima di aver tolto le vesti per poi riprenderle di nuovo. Un modo fine per dichiarare che la vita non si può mai perdere se la si offre. Anzi, solo in una logica di offerta piena, si può comprendere quello che la nostra tradizione chiama “presenza reale” del Signore Gesù nell’eucaristia. Prima di diventare una sottigliezza teologica, quest’affermazione vuol dire che “davvero” il Signore ci nutre con la sua stessa vita, che il Signore è realmente presente in quello che dice e quello che fa. Diversamente da noi che, spesso, non siamo realmente presenti là dove siamo. L’eucaristia ci soccorre e ci raggiunge proprio in questa debolezza, dandoci la forza di essere davvero presenti nel cuore delle relazioni che ci stanno più a cuore. Quelle che magari, nel tempo, sono diventate (anche) fatica e dolore, croce e martirio. Il sangue sulle porte della nostra vita, ormai, non è un segno di un fallimento, ma il certificato di realtà dei nostri giorni. Davanti a questo segno Dio — lo ha promesso — non può che avere pietà di noi. Non può che riconoscere il suo Figlio, offerto e donato per la nostra salvezza.  

Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore:
io vedrò il sangue e passerò oltre (12,13)

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