LE PROFONDITÀ DI DIO

VI Domenica del Tempo Ordinario — Anno A
Il Maestro Gesù, seduto sul monte della nuova e definitiva alleanza tra cielo e terra, preme ancora più a fondo l’acceleratore della rivelazione circa il nostro statuto di figli di Dio. Per raccontarci quanto può essere bello, gratificante e desiderabile diventare ciò che, in lui, già siamo. 

Pienezza
Per svelarci fino a che punto possiamo essere creature nuove, Gesù inizia affermando l’ultima cosa che vorremmo sentirci dire: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge e i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento» (Mt 5,17). Capiamo meglio quanto possa essere (anche) fastidiosa questa affermazione se traduciamo il verbo «abolire» con «sciogliere, dissolvere, cancellare». In parole più semplici, Gesù starebbe dicendo che la sua incarnazione non può, in alcun modo, farci sperare in una scorciatoia rispetto alla complessità del vivere. La Legge e i Profeti, infatti, non sono altro che le “istruzioni d’uso” (la Legge) dell’avventura della vita (la Legge), e la perpetua memoria che dal vincolo di essere stati creati figli e fratelli ci si salva solo con la verità dell’amore (i Profeti). Anzi – spiega Gesù – non solo non ci sono vie di fuga, ma esiste solo una via di approfondimento; non basta evitare il male, bisogna fare tutto il bene possibile. Cioè: insultare o disprezzare è come uccidere, pregare Dio senza pregare il fratello con cui siamo in crisi è ipocrisia, desiderare un’altra persona nel cuore può essere già infedeltà. Se si vuole superare la giustizia formale, bisogna essere disposti a perdere qualcosa (di noi stessi) pur di non perdersi nelle sfide quotidiane della vita. Mission impossible: e chi ce la può fare?!

Sapienza
Nessuno è in grado di vivere a queste profondità di cuore e di verità. Nessuno, tranne Dio, naturalmente. Non dovremmo mai dimenticare che, quando il Signore ci chiede qualcosa – soprattutto per bocca del suo Verbo fatto carne – già ci ha donato tutto il necessario per corrispondere a quella parola. Dichiarando che non è necessario abdicare alla nostra umanità, ma che è possibile viverla fino in fondo, senza sconti e senza maschere, Gesù sta parlando di se stesso. Non solo, sta portando a compimento la sapienza antica: «Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà» (Sir 15,18). Creandoci liberi – ma a sua immagine e somiglianza – Dio sapeva bene che la nostra vita può sempre ritrovarsi e compiersi se siamo disposti a cercare sempre una bellezza migliore, per noi e per gli altri. A noi piace andare in «profondità» (1Cor 2,10) nelle relazioni e nelle situazioni perché siamo esseri spirituali, cioè amanti del bene, del bello e del vero. Sappiamo che il male non è il nostro destino, nemmeno nelle forme più moderate e nascoste: «A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare» (Sir 15,21). Già, ma non era più semplice non essere immersi in tutta questa libertà di scelta, di decisione, di movimento?

Fedeltà
Indubbiamente sì, però sarebbe stato infinitamente meno bello diventare quello che Dio ha sognato quando ci ha donato l’esistenza: diventare uomini e donne capaci di dire «» e solo «» al bene e di dire «no» e sempre «no» al male. Eppure quanta fatica a mantenere la posizione, dopo aver scelto di amare e servire! Quanto combattimento interiore per imparare a dire i «no» per rimanere al nostro posto e non farci un’idea troppo alta di noi stessi. Siamo così ingannati dentro, che talvolta non ci rendiamo nemmeno conto se stiamo disobbedendo a Dio oppure, semplicemente, obbedendo troppo a noi stessi, ai nostri sentimenti e ai nostri pensieri. Come fare dunque ad abbracciare la «sapienza di Dio», per vivere senza riduzioni, tutto il vangelo di Cristo? San Paolo svela il segreto, affermando che quelle soluzioni «che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano» (1Cor 2,9). Non si tratta di sforzarsi di essere perfetti o capaci, ma di accogliere il dono dello Spirito. Infatti queste cose, di cui oggi ci parla la liturgia «a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio» (2,10). Il vangelo – non sollo quello di questa domenica – non è un’impossibile morale da mettere in pratica, ma una parola di verità che può accogliere solo chi – in Cristo – è passato dalla morte alla vita, chi è entrato in un orizzonte in cui non si sceglie più solo a partire dalla nostra sensibilità – così fragile e incostante – ma attingendo dalle profondità di Dio, che ormai sono pure dentro di noi per mezzo dello Spirito. Solo immersi in questa forza e in questa luce possiamo restare nel ritmo della vita nuova. Una vita piena eppure semplice, contenta di poter dire soltanto «sì, sì», «no, no».

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