NON (POTER) IMMAGINARE

I Domenica di Avvento – Anno A

È ancora Avvento. Il calendario liturgico ci offre una manciata di settimane da vivere con speciale intensità, un’occasione per volgere il nostro sguardo al mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio. L’Avvento è un tempo che ci insegna ad aspettare quel Signore che è già venuto, ma che verrà ancora, alla fine dei tempi, per consegnare il regno di Dio nelle mani del Padre. È un tempo breve e bello, indispensabile per ricordarci che non siamo criceti affannati, in corsa su una ruota che gira sempre allo stesso modo. Siamo viandanti in cammino verso un meraviglioso orizzonte. Verso un volto. 

Svegliarsi
A dire il vero, il tono del vangelo sembra incutere timore più che suscitare gioiosa attesa: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo» (Mt 24,37-39). La prima notizia di cui siamo informati — circa la venuta del Signore — è che potremmo non accorgercene, tutti affaccendati nelle preoccupazioni e nelle cose di tutti i giorni: nutrire il corpo e il cuore, appagare i bisogni e gli istinti. Non c’è nulla  di male, naturalmente, nell’occuparsi di tutte queste cose. L’unico problema è che questo tran tran quotidiano potrebbe essere il segno che stiamo chiudendo gli occhi di fronte alla profondità della vita, che siamo poco «consapevoli del momento» (Rm 13,11) in cui si sta realizzando il compimento della nostra esistenza. La voce dell’apostolo e quella del Signore Gesù sono concordi nell’intento di svegliarci «dal sonno» (13,11): «Vegliate» (Mt 24,42), «perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti» (13,11). Spesso i nostri occhi si appesantiscono o si chiudono perché stiamo sprecando energie dietro a favole o progetti futili, oppure perché stiamo cercando di tenere tutto sotto controllo, accogliere accogliere il tumulto della realtà nella quale si nasconde e si rivela il disegno di Dio. Spesso siamo troppo sul momento che viviamo, troppo collegati all’organo delle emozioni e ci dimentichiamo che la vita va affrontata non solo in relazione al presente, ma anche in funzione di quello che verrà. Perché la vita non ha bisogno solo di essere vissuta, ma anche sognata. 

Sognare
È quanto si permettono di fare il saggio Noè — citato da Gesù nel Vangelo — e il profeta Isaia — che dà voce alla prima lettura di questa liturgia domenicale. Il primo accetta un singolare progetto suggerito da Dio: costruire una gigantesca barca in pieno giorno, in totale assenza di acqua. Per giorni, settimane, mesi, non si stanca di fare ciò che nessun altro sta facendo; investe il suo tempo in vista di qualcosa che non c’è, ma che presto ci sarà. Il suo sguardo sul futuro diventa occasione di salvezza per la sua famiglia e per la nuova creazione che fiorirà nel mondo dopo il diluvio. Anche Isaia si prende il lusso di gettare gli occhi oltre i confini della realtà immediata, fino a ricevere «in visione» (Is 2,1) il sogno stesso di Dio. Guardando «il monte del tempio» di Gerusalemme, egli riesce a scorgere l’abbozzo di un disegno meraviglioso: la volontà di Dio di radunare «tutte le genti» (2,2) nei «sentieri» (2,3) di una nuova umanità, dove «una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione», dove gli uomini «non impareranno più l’arte della guerra» (2,4), ma cammineranno «nella luce del Signore» (2,5). L’Avvento è tempo per tornare ad avere grandi visioni e grandi speranze per il futuro. Sebbene la nostra società sia tutta orientata alla saturazione del desiderio, sognare resta esperienza accessibile e naturale, l’indispensabile luogo dove la voce di Dio si fa concreta e personale per ciascuno di noi. Per avere sogni e visioni, progetti santi e desideri di vita, è sufficiente sgomberare il terreno dalle «opere delle tenebre» di cui, se siamo sinceri, conosciamo anche i nomi: «orge e ubriachezze, lussurie e impurità litigi e gelosie» (Rm 13,13). E poi comportarci «onestamente, come in pieno giorno» (13,13), indossando «le armi della luce» (13,12), rivestendoci «del Signore Gesù Cristo» (13,14). Spalancare insomma lo sguardo del cuore. Perché — lo sappiamo bene — si può sognare veramente solo a occhi aperti. 

Non immaginare
Altrimenti il Signore «verrà» (Mt 24,42) come un «ladro» (24,43) e noi avremo perso l’occasione più bella: permettere al suo desiderio di incontrare il nostro e chiamarci a collaborare per trasformare la realtà nel regno del suo amore. Del resto, il monito che mette in moto il tempo di Avvento non deve necessariamente generare ansia, ma può suscitare stupore: «Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo» (24,44). La venuta del Signore non può essere immaginata non solo perché non ci è dato conoscere i tempi che Dio riserva alle sue scelte, ma anche perché è un dono che non può essere condizionato dai nostri meriti o dalle nostre aspettative. È un regalo assoluto e assolutamente sproporzionato, sia rispetto a quello che possiamo desiderare, sia a quanto possiamo aspettarci dalla vita. Per questo, dilatare il desiderio di vita, allargare gli orizzonti della speranza, tenersi «pronti» (24,44) a riconoscere ovunque le occasioni dell’amore sono gli ingredienti del programma da seguire in questo tempo propizio, che ci vuole rieducare ad alzarci e a riprendere il cammino verso quel Regno che è già in mezzo a noi. Avvento è tempo di smobilitazione e di marcia, gioia di tornare a essere viandanti in cerca di una patria: «Quale gioia, quando mi dissero: “Andremo alla casa del Signore!”» (Sal 121,1). 

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