AL NOSTRO POSTO

XXII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
L’invito alla mitezza e all’umiltà contenuto nella liturgia di questa domenica non va frainteso. Non si tratta certo di rinunciare a desiderare riconoscimenti e successi, senza i quali la vita sarebbe un gioco assai triste e deprimente. Ciascuno di noi ha bisogno di scoprire il proprio ruolo nella storia, nella società e nel disegno di Dio. Quel posto speciale e unico che Dio riserva a ogni sua creatura.

«...quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto,
perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica:
“Amico, vieni più avanti!”» (Lc 14,10)

L’invito ad assumere un atteggiamento umile quando siamo invitati al banchetto della vita non deve essere inteso come un’esortazione a mantenere un profilo basso, ma come la capacità di attendere che il nostro posto ci venga indicato dall’altro. Fuori metafora, ciò significa che la nostra identità la possiamo scoprire solo nella misura in cui ci lasciamo ammaestrare dalla vita che continuamente ci indica qual è — e quale non è — il posto che possiamo occupare. Da questa attenzione e da questa disponibilità nasce una duplice libertà: quella di accogliere il posto che la vita, di volta in volta, ci riserva e quella di cambiarlo quando qualcuno ci invita a occupare un’altra, imprevista posizione. 

«...quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi;
e sarai beato perché non hanno da ricambiarti» (1Cor 1,26)

La raccomandazione di non invitare mai nessuno in vista di un contraccambio va nella stessa direzione. Il Signore Gesù non intende prioibire il valore di una ricompensa — perché sempre la relazione con l’altro incrementa il tesoro della vita — ma invita a lasciare che l’occasione di introdurre l’altro alla propria mensa sia ricompensa a se stessa. Se non lo è, facilmente, i nostri inviti sono ancora (troppo) influenzati da sensi di colpa o di opportunismo. E noi ci stiamo ancora preoccupando di apparire buoni, anziché prenderci la libertà di occupare, senza alcuna vergogna, quel posto in cui il nostro onore non è né conquista, né elemosina. Ma dono.  

«Figlio, compi le tue opere con mitezza, e sarai amato più di un uomo generoso.
Quanto più sei grande, tanto più fatti umile,
e troverai grazia davanti al Signore» (Sir 2,19-20)

Commenti