SOTTO LA GRAZIA

Mercoledì – XXIX settimana del Tempo Ordinario
Per convincerci che l’attesa del Regno di Dio val bene qualunque differimento delle nostre aspettative, il Signore Gesù non trova sconveniente paragonare la sua venuta a quella di un ladro che, nel cuore della notte, si introduce in casa altrui per derubare. Tuttavia suggerisce di guardare bene l’immagine, non così immediata da capire come potrebbe sembrare. 

«Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro,
non si lascerebbe scassinare la casa» (Lc 12,39)

Forse proprio da una similitudine così ardita dovremmo ricominciare a comprendere come il mistero di Dio abbia bisogno di compiersi, non a prescindere, ma dentro le nostre irrisolte fobie, che riescono a farci vivere ogni istante con l’angoscia latente di poter essere improvvisamente defraudati di quanto abbiamo — faticosamente — accumulato o conquistato. Percepiamo Dio come un ladro nella misura in cui perdiamo la coscienza di quanto ogni cosa che abbiamo — e tutto quello che siamo — provenga dal suo incessante regalarsi a noi e a tutti. E, soprattutto, dimentichiamo che il più bel gesto di fiducia che Dio compie nei nostri confronti non è soltanto quello di metterci qualche dono  nelle mani, ma soprattutto chiederci la responsabilità di saperli amministrare.  

«Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, 
che il padrone metterà a capo della sua servitù 
per dare la razione di cibo a tempo debito?» (12,42)

Ciascuno di noi, ogni giorno, è chiamato a rispondere a questa domanda con la sua stessa vita. Anzi, a diventare risposta a questa domanda, senza ridurre mai il nostro impegno a quello di semplici amministratori di cose altrui, che timbrano il cartellino o, quando sono generosi, fanno anche un po’ di straordinari. Discepolo è colui che sa vivere con fedeltà appassionata e umile responsabilità l’incontro con ogni cosa. Perché è la persona libera (soprattutto) da se stessa e dalle proprie (tristi) passioni, che non si inquieta, ma si accende di desiderio di fronte agli appelli della grazia di Dio.

«Non offrite al peccato le vostre membra come strumenti di ingiustizia, 
ma offrite voi stessi a Dio come viventi, ritornati dai morti, 
e le vostre membra a Dio come strumenti di giustizia» (Rm 6,13)

Vivere “in grazia di Dio”, come la tradizione insegna, vuol dire proprio questo: smettere di dare soltanto una parte di noi alle cose e alle persone a cui siamo legati da vincoli di amicizia, di amore, di fraternità o di lavoro. Iniziare, invece, a offrire tutto noi stessi, attingendo dall’unica forza che sperimentiamo ogni volta che accettiamo di tornare dalla morte alla vita, sollevati dalla forza di quel Dio in cui — solo — possiamo riconoscere la nostra giustizia. 

«Il peccato infatti non dominerà su di voi, 
perché non siete sotto la Legge, ma sotto la grazia» (6,14)

Commenti

Anonimo ha detto…
Il dono che siamo e offriamo è quindi tutto il corso della nostra vita illuminata dalla grazia, senza paura di perdere qualcosa, con fiducia nella sua misericordia. Abbiamo sperimentato il per-dono. Spendersi in ciò che si incontra sul cammino verso Dio, scoprendo ogni giorno la propria vocazione. Mi aiuta la preghiera.
Ciao!
Cristina