GUIDATI

Lunedì – XXX settimana del Tempo Ordinario
Tanto per impedirci troppo facili — e tanto inutili — schematizzazioni, dopo la restituzione della vista al cieco di Gerico, dove Gesù non dice e non fa nulla affinché la guarigione si compia, nel vangelo di oggi ascoltiamo la storia di un prodigio di amore e di attenzione, dove l’iniziativa e l’opera di salvezza avviene senza che nessuna richiesta di aiuto esplicita sia formulata. La donna curva e inferma da diciotto anni catalizza lo sguardo e il cuore del Signore Gesù che, in giorno di sabato, decide di restituire il giorno di sabato all’uomo.

Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: 
«Donna, sei liberata dalla tua malattia».
Impose le mani su di lei 
e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio (Lc 13,12-13)

Lo sguardo di Paolo, che oggi inabissa — anche il nostro sguardo — nelle profondità del mistero di Dio che ci abita e ci possiede, ci offre una chiave davvero inedita per cogliere il segreto di questo miracolo privo di qualsiasi richiesta di aiuto. Essere partecipi dei processi di guarigione a cui il Signore vuole condurci e collaborare con la sua grazia attraverso l’invocazione della preghiera sono, certamente, punti indiscutibili della vita spirituale. Tuttavia non dovremmo mai dimenticare che la preghiera non è un’opera nostra, ma l’opera dello Spirito che in noi, incessantemente, si rivolge al Padre per mezzo del Figlio.  

«E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura,
ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi,
per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8,15)

Con un pizzico di audacia, potremmo dire che, prima ancora di aver donato lo Spirito attraverso la sua Pasqua, il Signore Gesù ne percepisce il gemito nel corpo silenzioso e prigioniero di «questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni». Questo atteggiamento di compassione e di ascolto gli consente di non badare alle circostanze formali che, secondo le tradizioni giudaiche, impedirebbero di compiere ogni attività di lavoro. Questo, in fondo, è sempre il grande rischio a cui si espone una vita “religiosa”: cominciare a fare più attenzione all’errore che al dolore, diventare più sensibili alle imperfezioni che alla sofferenza. 

«[...] non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?» (Rm 5,15)

La domanda di Gesù non è certo scontata né retorica. La reazione del capo della sinagoga è sdegnata, ma piena di ipocrisia, solo perché è guidata dai «desideri carnali» e dallo stesso «spirito da schiavi» che teneva la donna con gli occhi rivolti verso il basso e «non riusciva in alcun modo a stare diritta». Solo se ci lasciamo guidare dallo Spirito di Dio possiamo entrare nella vita dei «figli di Dio». Infatti figli — cioè amati — non lo si è per motivi anagrafici, ma perché ci si scopre capaci — e disposti — ad abbracciare lo stesso destino e ad accogliere la stessa eredità. Nella gioia e nel dolore. 

E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio coeredi di Cristo, 
se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze
per partecipare anche alla sua gloria» (Rm 8,17)

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