FORZA (N)E(LLA) DEBOLEZZA

XIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno B
La scena di questa liturgia domenicale è dominata dalla presenza di due grandi voci profetiche: quella di Ezechiele e quella del Signore Gesù. Eppure non sembra essere il contenuto della loro predicazione il centro privilegiato d’interesse, quanto piuttosto la problematica accoglienza riservata loro dai rispettivi uditori.

Forza
Il profeta Ezechiele si prepara a rivolgere la parola del Signore a «figli testardi e dal cuore indurito» (Ez 2,4), non ancora convinti dai segnali di crisi nemmeno dopo la prima marcia di Nabucodonosor su Gerusalemme. Di fronte a questa radicale chiusura, non servono tante parole, è sufficiente prestare fiato alla voce del Signore: «Ascoltino o non ascoltino — dal momento che sono una genìa di ribelli —, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro» (2,5). Da parte sua il Signore Gesù deve fare un drammatico incontro  con «l’incredulità» (Mc 6,6) della gente della «sua patria» (6,1.4), che non sembra accorgersi «che un profeta si trova in mezzo a loro» (Ez 2,5), talmente è noto il suo volto e familiare la sua voce: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data. E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone?» (Mc 6,2-3).  Sembra prevalere in loro uno sguardo su Gesù pregiudicato dall’abitudine, schematico, sbrigativo, chiusa alla possibilità che il nuovo di Dio si presenti in forma ordinaria. Gli abitanti di Nazaret si sentono forti delle loro posizioni e del loro sguardo e si mostrano incapaci di cogliere il mistero dell’Incarnazione. L’evangelista annota che Gesù diventa per loro come un sasso su cui, improvvisamente, si inciampa: «Ed era per loro motivo di scandalo» (6,3). 

Debolezza
Ciò che disturba e lascia attoniti in Gesù non è tanto il valore della sua profezia, ma il fatto che essa si presenti in un volto troppo ordinario e conosciuto. Il disappunto degli abitanti di Nazaret segnala il grande ostacolo che, prima o poi, tutti dobbiamo affrontare nel cammino della fede, il vero scandalo descritto da Paolo con drammatica lucidità: «la forza si manifesta pienamente nella debolezza» (2Cor 12,9). Proprio questa debolezza — che altro non è se non la nostra ordinaria e fallibile umanità — è il luogo dove il Signore Gesù ha conosciuto e sperimentato la potenza di Dio, l’amore fedele del Padre che salva dalle tenebre della morte. Mentre il nostro io vorrebbe essere sempre raggiunto e intercettato in forme straordinarie, il Signore non cessa di venire a noi nelle forme quotidiane dell’umana esperienza e della storia di tutti i giorni: attraverso la Parola, i sacramenti, la storia e i fratelli. Dio ama accostarsi a noi così, al di fuori di qualsiasi cornice straordinaria, perché non ha alcun bisogno né di compiacere se stesso, né di nutrire il nostro insaziabile bisogno di sentirci amati in quanto unici e non perché figli e fratelli. Come san Paolo arriva a capire, attraverso il suo luminoso e sofferto itinerario di conversione: «Ti basta la mia grazia» (2Cor 12,9).

La forza nella debolezza
Forse la radice di ogni nostra incredulità è proprio legata alla paura di ascoltare e scoprire che, in ogni momento, la grazia del Signore può davvero essere sufficiente, nelle «debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce» (12,10). Per questo, come gli abitanti di Gerusalemme — ignari di essere già senza terra perché prossimi a un’inevitabile deportazione — anche noi rischiamo di trascorrere tanti giorni come esuli nella patria in cui Dio c’è, e quindi anche noi possiamo esserci. Siamo tutti talmente abituati a credere che la nostra vita sia al sicuro davanti a Dio, da non essere più stupiti di fronte al suo farsi continuamente pellegrino nelle pieghe meno nobili e più dolorose della storia e della nostra umanità: dal suo essere in (mezzo a) noi, piuttosto che di fronte a noi. Viviamo tutti così sicuri di essere già giunti in patria, da smarrire la grande occasione di continuare a cercarla e a costruirla, seguendo con fiducia le orme e la libertà del Maestro, facendo dei passi e della vita di ogni giorno il sentiero di un grande pellegrinaggio che va da questo mondo fino al Padre e al suo Regno di vita eterna: «Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando» (Mc 6,6). 

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