IMMERSI

Santissima Trinità – Anno B
Oggi non ricordiamo un evento della storia di salvezza come facciamo in altre grandi solennità dell’anno liturgico. Celebriamo il mistero della santissima Trinità. Il popolo ebraico adorava un solo Dio, i pagani armonizzavano più divinità in uno stesso culto. Noi cristiani conosciamo l’unità nella distinzione, un solo Dio in tre persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. Non si tratta di un astruso concetto teologico o di un’ingenua forzatura matematica, con cui tentiamo di sostenere l’impossibile equazione 3=1! Il dogma della Trinità è semplicemente il nome scoperto e assegnato a quel Dio che si è rivelato al mondo come comunione d’amore. 

Onnipotenza
Prima di ascendere al cielo, e donare ai suoi discepoli lo Spirito Santo, Gesù lascia loro il suo testamento, cominciando con un autoelogio: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra» (Mt 28,18). Il volto del Cristo pantrokrator onnipotente»), è una delle più tradizionali icone che lungo i secoli hanno adornato gli absidi delle chiese cristiane, suscitando e orientando la preghiera dei fedeli verso colui che per noi ha fatto cose tanto grandi” (S. Francesco). Tuttavia, mentre spontaneamente attribuiamo a questo aggettivo una valenza di dominio e di forza, la Parola di Dio ci costringe a intenderla in ben altro modo. Lo spiega direttamente il Signore Gesù: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli» (28,19). Ecco come si esprime l’onnipotenza di Dio: nel promuovere i nostri passi, nel coinvolgerci nei suoi progetti. Questa cosa riempiva di stupore e di meraviglia già l’intrepido Mosé, sulle brulle corsie del deserto verso la terra di libertà promessa: «Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità all’altra dei cieli, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo?» (Dt 4,32-33).

Imparare
Ma a Dio non basta mandarci, ci affida anche un compito: far diventare tutti discepoli. Che bel compito, dover annunciare non una serie infinita di precetti, né fare la morale ad alcuno, ma comunicare agli altri la gioia di essere gente che impara. Più precisamente: che può imparare. Non solo dalle cose, dagli errori, dai fatti, ma persino da Dio stesso. I discepoli di Cristo proclamano, lungo i secoli, la possibilità di non dover vivere da maestri, sempre alla ricerca di essere all’altezza dei ruoli e di aspettative, ma come uomini e donne che relativizzano l’idolo dell’autonomia, su cui la nostra società sta (af)fondando illusioni e delusioni. Questa, in fondo, è la conversione cristiana: non tanto passare dallo statuto di peccatori a quello di santi, ma dismettere i panni — quasi sempre patetici — di gente che presume di poter stare in piedi solo sulle proprie gambe, e accettare serenamente le mille dipendenze di cui la vita è fatta. Anzitutto, quella con Dio. Fino a scoprire il più indimenticabile dei capovolgimenti: vivere come se noi non fossimo né al centro né il centro. Noi tutti, infatti, siamo evidentemente discepoli, gente che deve e può imparare. Invece, spesso, assumiamo come compagni di viaggio assurdi parametri di efficienza e di perfezione, con cui tiriamo il collo. Prima a noi, poi inevitabilmente anche agli altri. E viviamo nel paradosso di sentirci autonomi mentre, di fatto, siamo schiavi di molte cose. Con il Signore Gesù Cristo la situazione si ribalta: obbedendo a lui e lasciandoci guidare dallo «Spirito di Dio» (Rm 8,14), siamo finalmente autonomi, perché scopriamo di poter dipendere come creature dal Creatore. E così diventare, finalmente, noi stessi.

Battezzare
Il Signore Gesù conclude il suo insegnamento, dicendo di battezzare tutti «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). Ecco la Trinità, non tanto un concetto da capire, ma un’esperienza nella quale immergersi, perdersi e ritrovarsi. Questo è l’unico modo di entrare nel mistero e nella realtà di Dio: sprofondare dentro di lui. Questo significa essere discepoli: scoprire che egli è Padre e che, nel Figlio, possiamo diventare anche noi figli, mossi, guidati dallo Spirito. Finché non erompe dal cuore il grido «Abbà! Padre!» (Rm 8,15), noi possiamo anche tentare di mostrarci intrepidi e coerenti cristiani, ma stiamo facendo (solo) molto sforzo, infilando la nostra vita nei sentieri del volontarismo e del moralismo. Se non ci siamo immersi in lui, se non siamo diventati discepoli, se la nostra vita non è ancora un andare e annunciare il suo nome nel suo nome, stiamo tentando di simulare la grottesca rappresentazione di un’esperienza che, in fondo, non abbiamo vissuto. Essere cristiani è vivere a partire dall’esperienza di essersi scoperti figli amati. Amati infinitamente e per sempre. La Trinità non è un concetto, ma un mare di misericordia in cui tanti fratelli e sorelle prima di noi si sono tuffati. Ora tocca a noi entrarci, con la mente, lo spirito il corpo. Per diventare amici e servi di tutti. Senza paura, perché nel cuore della Trinità di Dio riposa solo una promessa: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). 

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