ESAMINARE

Mercoledì – V settimana del Tempo di Pasqua
L’allegoria della vite e dei tralci — e dell’agricoltore, il Padre — doveva essere rimasta ben impressa nella memoria dei discepoli. Prima della Pasqua, quando il suo dono d’amore stava per essere voluto fino in fondo e consegnato, il Signore Gesù aveva fatto ricorso a questa immagine per parlare di quale rapporto sussiste tra lui e coloro che hanno accolto la sua parola di vita. 

«Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite,
così neanche voi se non rimanete in me» (Gv 15,4)

In quel momento non fu probabilmente difficile per i discepoli accogliere la bellezza di questa rivelazione: un Dio che non sa concepirsi solo con sé e senza di noi. Il racconto degli Atti ci informa però di un altro momento. Quello in cui la chiesa nascente si trovò nella necessità di porsi seriamente la «questione» di cosa fosse indispensabile per rimanere nel Signore. Alcuni discepoli di origine ebraica pensavano di dover chiedere ai pagani l’adesione alle prescrizioni e alla ritualità del giudaismo per essere innestati nella radice santa del vangelo.

«Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, 
non potete essere salvati» (At 15,1)

Paolo e Barnaba, avendo visto coi loro occhi la forza e la libertà con cui i pagani aderivano alla fede, erano di parere opposto. Allora lo Spirito suscitò nella chiesa una meravigliosa attività, che mai dovrebbe essere assente dall’esperienza cristiana, in mezzo alle preghiere, le liturgie e le pratiche più ordinarie. 

Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani 
per esaminare questo problema (15,6)

Il dono dello Spirito, i prodigi avvenuti tramite la fede nel Signore risorto, non hanno risparmiato alla comunità cristiana delle origini la fatica e la gioia del dover cercare insieme — e faticosamente — la strada più vera e più buona per tutti. Anzi, proprio la discussione e il confronto sono i binari sui cui l’insegnamento di Gesù si è incarnata diventando un percorso di umile ricerca della volontà di Dio. Nella fede, infatti, non è tutto chiaro. Anzi. Ci sono infatti obbedienze che Dio si attende da noi, e altre che ci infliggiamo — talora impietosamente — noi stessi. Allo stesso modo esistono tagli che Dio ci impone perché prendiamo coscienza della nostra sterilità, e purificazioni necessarie per portare maggior frutto. 

«Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, 
e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto» (Gv 15,2)

Quotidiano è il compito di esaminare ogni cosa per decidere se è venuto il momento di aprirsi alla vita, oppure di rimanere semplicemente fermi e attendere che la vita apra in noi inediti sentieri. Consapevoli che ci addolora e ci rende tristi una sola cosa: credere che Dio abbia per noi e per tutti desideri più piccoli di quelli che noi sappiamo sognare e custodire.

«In questo è glorificato il Padre mio: 
che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli» (15,8)

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