UNA COSA SOLA

Martedì – IV settimana del Tempo di Pasqua
Diventare finalmente una cosa sola con ciò, anzi colui, che si ama. Questo desiderabile punto di arrivo — che spesso inseguiamo faticosamente nella vita — è divenuto realtà per i discepoli, non molti giorni dopo la risurrezione di Gesù, il Signore accolto, seguito e amato fino allo scandalo della croce e all’impossibile gioia della risurrezione. Il libro degli Atti inserisce nella sua cronaca un’osservazione divenuta giustamente cara alla memoria della chiesa. 

Ad Antiochia per la prima volta 
i discepoli furono chiamati cristiani (At 11,26)

Dopo la paura e la tristezza, l’abbandono e il nascondimento, i discepoli accesi dal fuoco dello Spirito Santo hanno iniziato a manifestarsi al mondo come il corpo di Cristo, a rendere presente il suo volto, la sua parola, la sua grazia. Tanto da essere chiamati col suo stesso nome, quello lungamente preparato e atteso da Israele. L’appellativo cristiani rivolto ai discepoli segna un punto di svolta nella missione della primitiva chiesa. Esprime un’evidente e profonda identificazione tra la vita dei discepoli e quella del Maestro, morto e risuscitato, ma vivo attraverso il suo Spirito d’Amore. Curiosamente, questo cambio di identità non avviene in un momento di particolare forza della primitiva chiesa, ma quando i discepoli si trovano «dispersi» e ciò provoca la fuoriuscita del nome di Gesù dal mondo giudaico al più ampio cortile dei pagani. 

Ma alcuni di loro, gente di Cipro e di Cirène, giunti ad Antiòchia, 
cominciarono a parlare anche ai Greci, annunciando che Gesù è il Signore (11,20)

Questa espansione di annuncio, proprio nel momento in cui si verifica una dispersione dei discepoli, non è un passaggio facile per i primi cristiani. La Chiesa di Gerusalemme si deve informare e interrogare, prima di poter riconoscere i nuovi sentieri che la «grazia di Dio» (11,23) sta percorrendo e tracciando.

E una folla considerevole fu aggiunta al Signore (11,24)

Anche Gesù, nell’imminenza della sua Passione, viene riconosciuto con difficoltà dai suoi connazionali. Non a causa delle opere e delle parole compiute nel nome del Padre — queste infatti «danno testimonianza» (Gv 10,25) — ma per lo stato di sospensione in cui la sua manifestazione inevitabilmente lascia coloro che la ricevono. Dio non può dimostrare la sua dedizione a noi, in modo inoppugnabile e scientifico. La può solo mostrare. Tocca a noi leggere e interpretare i segni di un amore sempre proposto e mai imposto.

Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: 
«Fino a quando ci terrai nell’incertezza? 
Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente» (Gv 10,24)

Diventare «una cosa sola» non è (solo) una scelta: è un cammino. Che passa per la dispersione — come momento di apertura e approfondimento — e si nutre di incertezza — quale condizione di desiderio e libertà. Lungo questo cammino, anche a noi, può capitare di ricevere un nome nuovo. E di essere riconosciuti non più per quello che siamo, ma per quello che insieme ai fratelli manifestiamo nel mondo e nella storia: il corpo di Cristo. 

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