SENZA RISPARMIARE

II Domenica – Tempo di Quaresima (B)
Siamo entrati nel deserto della Quaresima insieme al Signore Gesù per incontrare le nostre tentazioni e, guidati dallo Spirito, per affrontarle a viso aperto. Abbiamo accolto l’invito a dedicare un parte del nostro tempo per permettere a Dio di far risplendere la luce della sua carità dentro le ombre della nostra vita. Attraverso la preghiera, il digiuno e l’elemosina ci siamo regalati un’occasione per vivere lontano dagli inganni che, sempre, tentano di sedurre il nostro cuore. In questa domenica, la liturgia ci fa salire sue due sante montagne, per dirci che tutto questo cammino di conversione può compiersi solo se siamo disposti ad ascoltare fino in fondo (nel)la voce di Dio. Senza risparmiare.

Obbedire
Il racconto del famoso “sacrificio di Abramo” non è mai una lettura facile. Per quanto il “lieto fine” da tutti (già) doto stemperi l’ascolto di questo drammatico evento, ogni volta che proviamo a raccogliere la parola di Dio contenuta in questo testo avvertiamo un certo disagio. Perché Dio chiede al suo servo un assurdo sacrificio: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto» (Gen 22,8)? Dobbiamo forse immaginare un Dio bisognoso di torturare o vessare l’uomo per manifestare la sua potenza? Non possiamo nascondere che spesso la realtà offre dolorose conferme a questa ipotesi, se guardiamo da lontano situazioni di sofferenza, prova o privazioni che tanti fratelli e sorelle sperimentano. Le cose non diventano chiare nemmeno quando il racconto sembra dirci che Dio non faceva sul serio, ma voleva solo mettere «alla prova Abramo» (22,1): «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito» (22,12). Eppure, in queste parole è contenuta la chiave del racconto, il cui centro focale è proprio il rapporto tra Abramo — il padre di Isacco — e Dio — il Padre dell’umanità. Al termine dell’episodio, il legame tra i due personaggi del racconto si fa strettissimo, una vera e propria ritrovata alleanza: «Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce» (22,18). Il testo originale suona più laconico, ma anche più intrigante: «perché tu, nella mia voce, hai ascoltato». Prima di configurarsi come obbedienza — sembra dirci il testo ebraico — la relazione con Dio acquista verità quando è ascolto nella voce di Dio. Che significa?

Non risparmiare
Siamo abituati a concepire l’obbedienza come l’adesione a un appello che proviene dall’esterno: un comando, una richiesta, un’aspettativa. In tutti questi casi c’è un elemento proveniente da fuori che vuole — talvolta pretende — comandare il nostro interno. Un simile modello di obbedienza corre il rischio di fallire l’obiettivo di una sana umanizzazione della nostra libertà. L’adesione a inviti troppo lontani dal nostro reale punto di esistenza e dalle concrete convinzioni radicate nel nostro cuore, solo per breve tempo, può trasformare  la nostra vita. Ben presto diventa un laccio da cui vogliamo scioglierci. “Ascoltare nella voce di Dio” potrebbe essere la descrizione di un nuovo modello di obbedienza, di cui abbiamo un’originale conferma nella seconda lettura: «Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?» (Rm 8,31-32). Dio è uno che non risparmia il proprio Figlio, proprio come Abramo. Nelle parole dell’apostolo scopriamo che il cammino sul monte Mòria è il percorso attraverso cui Dio ha ri-conosciuto Abramo come sue figlio, connaturale alla libertà e alla generosità del suo amore. Ma è anche il percorso attraverso cui Abramo ha conosciuto il Dio scritto dentro di sé. Camminando insieme a suo figlio, fino a scoprire che questo dono tanto atteso e desiderato non era né un suo possesso, né qualcosa da difendere, Abramo ha ascoltato, nella voce di Dio che lo guidava, la capacità d’amore scolpita nel suo stesso cuore. Nella voce di Dio, Abramo ha in realtà ascoltato se stesso fino in fondo. 

Risorgere
Il drammatico passaggio vissuto da Abramo — riletto attraverso il filtro della lettura apostolica — è un formidabile aiuto e un’originale porta di ingresso per il vangelo della Trasfigurazione, che ogni anno accompagna i primi passi nel deserto quaresimale. Quanto i discepoli vivono sul «monte alto» dove sono condotti dal Maestro, è un’esperienza di ascolto nella voce di Dio: «Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”» (Mc 9,7). Nel chiaroscuro della fede, avvolti dalla luce opaca della nube, i discepoli accedono al volto di Dio, superando definitivamente ogni sospetto che in lui ci sia altro che non paterni sentimenti di bene e di amore. Nel volto del Figlio, risplendente di amore, è finalmente riconoscibile tutto il volto del Padre. Le parole con cui Gesù accompagna i discepoli giù dal monte ci svelano, però, fino a che punto è bello e audace questo amore: «Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti» (9,9). L’accenno alla risurrezione non è solo una parola di conforto per affrontare lo scandalo della croce, ma un annuncio di quanta vita ci sia in un modo di vivere che ammette già fin dal principio il rifiuto. Creati a immagine e somiglianza di un Dio che non risparmia il Figlio, anche noi possiamo riprendere il cammino di Quaresima all’ombra di questa parola, fiduciosi di poter ascoltare anche dentro di noi la chiamata — unica e indistruttibile — a coltivare progetti di amore così grandi e belli. Progetti che non cercano felicità solo nella realizzazione e nel consenso, ma sono fin dall’inizio disposti a risorgere. Quindi a vivere così tanto da poter morire. Senza incolpare nessuno. Senza risparmiare niente. Liberi.

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