SENZA (DOVER) SEDURRE

Lunedì – III settimana del Tempo di Quaresima
Non si capisce. Anzi, sembra addirittura inaccettabile il comportamento degli abitanti di Nazaret. Certo, le parole con cui Gesù conclude la prima omelia nella città dove è cresciuto non sono certo un concentrato di diplomazia. Si accorge della poca accoglienza riservata alla sua persona e lo fa notare, citando due esempi nella Bibbia in cui una vedova e un comandante stranieri si sono lasciati guarire da Dio senza troppe esitazioni. Tuttavia appare sproporzionata la reazione di chi è stato solo smascherato nella sua indifferenza. 

All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno.
Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte,
sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù (Lc 4,28-29)

Dei due personaggi citati da Gesù, uno si mostra riluttante ad accogliere subito e con disponibilità le indicazioni di guarigione ricevute. Namaan, il comandante lebbroso, ha una  reazione di risentimento quando riceve l’ordine di immergersi sette volte nel Giordano. Il testo non spiega il motivo, ma possiamo immaginare che si tratti di una delusione di fronte alla semplicità della richiesta e allo scarso cerimoniale con cui il profeta ha deciso di comunicare a con lui. È necessaria la ragionevolezza dei suoi servi per placare lo sdegno e convincerlo a obbedire.

«Padre mio, se il profeta ti avesse ordinato una gran cosa, non l’avresti forse eseguita?
Tanto più ora che ti ha detto: “Bagnati e sarai purificato”» (2Re 5,13)

Non si capisce. È strano. Eppure, forse, basta fermarci un secondo davanti a questi episodi per comprendere che siamo davanti a uno specchio. Anche noi, conosciamo l’assurda pretesa nascosta in fondo alle nostre più quotidiane tenebre, dentro le nostre paralisi, in mezzo ai vizi e ai circoli viziosi che scandiscono il cammino della vita. Proprio lì scopriamo quale follia riesce ad abitare il nostro cuore: l’intimo — ben radicato — desiderio di voler sedurre più che quello di voler essere guariti. A conferma che, dietro ogni ferita e sofferenza che patiamo, c’è un grande problema di riconoscimento da risolvere. C’è il grido della nostra solitudine che ancora fatichiamo ad ascoltare e riconoscere. Per questo ci sdegniamo così facilmente, quando le manovre di salvataggio non sono ad alta risoluzione e con effetti speciali. La parola di Dio oggi piega il nostro cuore al fascino della realtà e all’ordinarietà con cui il Signore si prende cura di noi. Nutre il nostro bisogno più profondo e cura le ferite che hanno segnato il nostro corpo. Senza clamore. Senza sensazionalismi. Senza sedurci, né farsi sedurre. Con la stessa, silenziosa agilità con cui si rimette in cammino dopo ogni nostro sdegnato rifiuto. Possibile preludio a movimenti di conversione vera. 

Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino (Lc 4,30)

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