NON FALLIRE IL BERSAGLIO

Lunedì della V settimana – Tempo di Quaresima
Le letture di oggi ci raccontano due storie simili nella sostanza, ma opposte nella forma. Nella prima una donna ingiustamente accusata viene giustamente assolta, nella seconda un’altra donna giustamente accusata viene ingiustamente assolta dalla misericordia del Signore Gesù. La Quaresima è un tempo privilegiato per ricondurre il nostro cuore a vedere le cose in una più grande logica di amore, che trova in Cristo la sua perfetta misura. Nelle nostre relazioni quotidiane non possiamo che provare a ripartire sempre da una certa idea di “giustizia”, osservando regole e convenzioni, offrendo e aspettando sincerità, impegno, dedizione. Purtroppo non sempre e non con tutti ci riesce di comportarci come dovremmo e come vorremmo. Il caso dei due anziani, afferrati da un’irrefrenabile passione rappresenta quel momento in cui perdiamo il controllo della nostra volontà d’azione. 

[...] furono presi da un’ardente passione per lei: persero il lume della ragione, 
distolsero gli occhi per non vedere il Cielo e non ricordare i giusti giudizi (Dn 13,8-9)

Quando chiudiamo gli occhi al cielo e compiamo il male, si crea in noi un senso di colpa per ciò che abbiamo fatto. Per liberarcene o per sfogare la rabbia, paradossalmente, diventiamo spietati giudici degli altri. Questo modo — brutto — di porci davanti agli altri, gonfi di giudizio, anziché umili di misericordia — quella di cui noi per primi avremmo bisogno — ci spacca letteralmente «in due» (13,55) e, lentamente, ci fa gustare «la medesima pena alla quale» vogliamo «assoggettare il prossimo» (13,61). Soprattutto è una strategia con le gambe cortissime, destinata a smascherare gli inganni del nostro cuore e delle nostre azioni. 

Poi, insorgendo contro i due anziani, ai quali Daniele aveva fatto confessare con la loro bocca 
di aver deposto il falso, fece loro subire la medesima pena che avevano tramato contro il prossimo 
e, applicando la legge di Mosè, li fece morire (13,61-62)

Tutto diverso è lo sguardo che il Signore Gesù ha nei confronti di quella donna senza nome, colpevole di aver trasgredito la Legge, perché «è stata sorpresa in flagrante adulterio» (Gv 8,4). In lei mancano le virtù di purezza e giustizia della bella Susanna, tuttavia è sufficiente una parola del Maestro per rivelare quanto sarebbe ingiusto che qualcuno mettesse in pratica nei suoi confronti una sentenza di condanna. Quanto sarebbe contrario alla Legge farsi esecutori di una punizione, anziché interpreti di un atto di misericordia. 

«Chi di voi è senza peccato, 
getti per primo la pietra contro di lei» (8,7)

La capacità di un simile sguardo di rispetto e accoglienza, nei confronti della donna spogliata e umiliata nella sua dignità, nasce da un’abitudine a considerare le persone mai dall’alto al basso. Diventando uomo con noi e come noi, il Signore Gesù ha saputo accettare e accompagnare fino in fondo il dramma della libertà, della crescita, della trasformazione della nostra umanità, di cui fanno parte le contraddizioni, le ambiguità e anche i peccati. Per questo, davanti a una donna ferita e umiliata dal peccato Gesù sa vedere, anzitutto, qualcuno che soffre. Ed è capace di compiere i gesti e le parole dell’amore, che scribi e farisei sembrano aver dimenticato. Chinandosi e alzandosi per due volte, il Signore ci insegna a riconoscere il cielo anche nell’arsura e nella povertà della terra. A vivere liberi dalla necessità di giudicare e dalla paura di essere condannati. Per non fallire più il bersaglio. 

«Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (8,11)

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