CORREZIONE

Mercoledì – IV settimana del Tempo Ordinario
L’invito a resistere fino al sangue, che risuonava ieri ed è ripreso anche oggi dalla liturgia, potrebbe sembrare una misura troppo grande per chi si cimenta con l’avventura della fede nelle latitudini di una vita ordinaria. Lo sviluppo della lettera agli Ebrei ci impedisce di considerare roba da martiri ciò che, in realtà, riguarda la nostra allergia a essere pizzicati sul personale, corretti nelle nostre traiettoie storte. 

«Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore 
e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; 
perché il Signore corregge colui che egli ama 
e percuote chiunque riconosce come figlio» (Eb 12,5-6)

La lotta contro il peccato si può spingere fino al sangue perché non coincide con il tentativo di eliminare dalla nostra vita tutti i difetti e i peccati. Magari anche con l’aiuto dello Spirito santo e dei sacramenti della chiesa. Il combattimento fino in fondo è da ingaggiare con(tro) la nostra abitudine — diciamo pure vizio — di passare da uno stato di imperfezione a uno di perfezione, evitando la fatica della crescita e l’imbarazzo della correzione. Un modo di ragionare che ci fa capire quanto siamo (ancora) orfani.  

È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; 
e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? (12,7)

L’episodio in cui Gesù, in un suo ritorno a Nazaret dove era cresciuto, viene accolto con freddezza e giudizio dalla sua gente ci fornisce un ulteriore chiave per comprendere dove si radica il problema della correzione. Dopo un’iniziale stupore di fronte agli insegnamenti del Maestro — apparente segno di apertura e di ascolto — coloro che erano nella sinagoga cominciano a dialogare con vani pensieri. Non accettano di essere corretti nel modo di vedere la realtà.

«Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data?
E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, 
il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? 
E le sue sorelle, non stanno qui da noi?».
Ed era per loro motivo di scandalo (Mc 6,2-3) 

I concittadini di Gesù inciampano su di lui, come una pietra che segnala il loro passo (già) claudicante. L’incarnazione, scelta da Dio come criterio per portare salvezza all’uomo senza effetti speciali e senza pretese di perfezione ideale, è giudicata negativamente da quanti sono familiari con Gesù. È davvero assurdo, ma anche noi conosciamo la possibilità di questa chiusura. Anziché rallegrarci del fatto — quindi anche del modo — con cui Dio ha voluto salvare il mondo, restiamo paralizzati nelle nostre malattie, in attesa dell’arrivo di un clamoroso segno dal cielo. Mentre invece basterebbe accogliere la correzione che, ogni giorno, pazientemente, il cielo lascia fiorire nella nostra terra. Dove possiamo tornare a camminare.

Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche
e camminate diritti con i vostri piedi,
perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire (Eb 12,12)

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