ACCONTENTARSI

Venerdì – IV settimana del Tempo Ordinario
Dopo aver ricordato l’importanza di volersi bene (l’amore fraterno), di essere ospitali (senza saperlo si accolgono angeli), il ricordo di chi è recluso ho maltrattato (visto che un corpo ce l’abbiamo tutti) e la fedeltà alle parole e alle promesse donate (per non entrare in adulterio), l’autore della lettera agli Ebrei riesce a cogliere la radice di ogni tentazione di fuga dalla realtà: l’avarizia. 

La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che avete, 
perché Dio stesso ha detto: «Non ti lascerò e non ti abbandonerò». 
Così possiamo dire con fiducia: «Il Signore è il mio aiuto, non avrò paura. 
Che cosa può farmi l’uomo?» (Eb 13,5-6)

Accontentarsi è il difficile riflessivo da saper coniugare ogni giorno, per evitare il rischio di una vita sempre protesa a rispondere con troppa sollecitudine alle aspettative degli altri, che nel tempo possono diventare i padroni del nostro bisogno di essere accolti e approvati. Potrà sembrare strano, ma più che esercizio di virtù la capacità di essere contenti del (solo) pane quotidiano è esercizio di memoria, silenzioso movimento di un cuore sicuro del fatto che la vita ci visita e ci raggiunge in infiniti modi e che per amare gli altri è “sufficiente” una silenziosa e concreta compassione. Che basta non dimenticare di essere — come tutti — bisognosi di essere accolti, visitati e confortati. 

Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli.
Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, 
e di quelli che sono maltrattati, perché anche voi avete un corpo (13,2-3) 

Quando si smarrisce il ricordo di questo bisogno fondamentale — e fondante — si aprono pericolosi feritoie nel nostro cuore, anticamere di dolorose ferite che possiamo sentirci in diritto di procurare agli altri, quando le circostanze ci mettono in condizione di prendere più di quanto è ci lecito ricevere dalla mensa della vita. Nella triste figura di Erode, vediamo come è facile passare dall’insaziabile avarizia alla vigliacca crudeltà. Dopo essere stato sedotto dalla danza della bella Erodìade, il povero re tenta disperatamente di essere altrettanto seduttivo. 

Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò».
E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, 
fosse anche la metà del mio regno» (Mc 6,22-23) 

Può venire sempre — e per tutti — il «giorno propizio» che smaschera la nostra incapacità di accontentarci del reale. Sono le occasioni in cui ci capita di sentirci in dovere di mostrare una disponibilità assoluta. I momenti in cui permettiamo agli altri e alle circostanze di chiederci tanto, troppo rispetto a quello che realmente possiamo offrire. Se non siamo liberi di deludere le aspettative — che abbiamo nutrito o che gli altri nutrono — queste occasioni si possono trasformare in banchetti di morte. Solo un sano e santo rifiuto, in questi casi, può salvare noi e gli altri dall’inganno di una vita (che) mai (si ac)contenta.

Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali 
non volle opporle un rifiuto (6,26)

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