NON SOLO ACQUA

Battesimo del Signore – Anno B
Quei cieli che l’Avvento ci ha fatto guardare e sperare pietosi nei nostri confronti, finalmente oggi si aprono. Anzi, si squarciano, per farci contemplare dove il Natale del Signore va a parare. La grazia di Dio attesa dall’alto si manifesta però in basso, là dove noi siamo. Persi e immersi nelle acque della nostra debolezza. Il battesimo di Cristo, in fila con noi e come noi ai confini della terra, attesta fino a che punto la solidarietà di Dio ha scelto di abitare la terra. Non solo con il segno dell’acqua, ma anche con il pegno del sangue. 

All’acqua
Se i giorni di Avvento e Natale — se i terribili fatti di questi giorni — hanno saputo accendere in noi una sete, soprattutto di giustizia, le parole del profeta non possono che risuonare suggestive e attraenti anche per noi: «O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, senza pagare, vino e latte» (Is 55,1). Il mistero dell’Incarnazione che oggi smettiamo di contemplare con speciale intensità è la risposta di Dio all’arsura della nostra terra. Quella della storia, anzitutto, dove il mondo riesce ancora a essere il regno della solitudine, della violenza, della sopraffazione e della sperequazione, dell’oscurantismo e del nichilismo. Ma anche quello della bella umanità, creata a immagine e somiglianza di Dio, ma così spesso riflesso opaco — oppure inesistente — della sua bellezza. Questo tempo forte ci ha ricordato che non basta confidare in una bella pioggia per essere meno aridi, serve un rinnovamento profondo, dal di dentro dove pensieri e progetti hanno origine. Dio sa che non è altro che questo il motivo di ogni autentica tenebra che ancora regna: «Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie» (55,8). La consapevolezza di questo nostro bisogno di conversione ha spinto Dio a offrirci un rimedio sicuro e duraturo, quello della sua parola, mai pronunciata superficialmente o invano: «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (55,10-11).

Nell’acqua
L’invito profetico ad andare all’acqua per ricevere salvezza è raccolto anche dal Signore Gesù. Il vangelo di Marco lo presenta in maniera paradossale, per nulla allineato alle attese suscitate su di lui dalla predicazione del battista: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io ci ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo» (Mc 1,8-8). Questa era la speranza suscitata dall’Antico Testamento: se Dio è fedele alla sua alleanza, non potrà lasciare il popolo nella sua infedeltà, ma dovrà venire a purificare e salvare, dovrà venire come uno sposo che non si dimentica del suo patto nuziale. E, infatti, Gesù viene, come Cristo inviato dal Padre a compiere tutte le promesse e ogni giustizia. Tuttavia non sembra essere determinato tanto dalla fretta di manifestare subito i frutti della sua presenza, quanto dal bisogno di mostrare il segno di una limpida vicinanza alla nostra condizione: «Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni» (1,9). La manifestazione di Dio seguente — nella voce del Padre e nel tocco dello Spirito — è, secondo l’evangelista Marco, un’esperienza riservata solo a Gesù, inaccessibile ai presenti. È solo Gesù a vedere i cieli aprirsi e a udire la voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (1,11). Questo momento non è vissuto da Gesù in modo esclusivo perché a lui fosse necessario prendere coscienza di essere il Figlio o perché a noi non fosse necessario conoscerlo: «Lo spirito è disceso una seconda volta come per un secondo inizio del genere umano e innanzitutto su Cristo, secondo il disegno di salvezza, e Cristo lo ha ricevuto non per sé, ma per noi, perché abbiamo in lui e da lui ogni ricchezza» (Cirillo di Alessandria).

Oltre l’acqua
Gesù vive il segno dell’acqua in forma pubblica ma intima nell’attesa di poterlo arricchire di significato, con l’offerta di una vita tutta spesa con noi e per la nostra salvezza. Riflettendo su questo grande mistero — reticente nella sua iniziale manifestazione, e poi esigente nella sua pasquale realizzazione — san Giovanni si esprime così: «Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue» (1Gv 5,6). Gesù è venuto all’acqua e nell’acqua per andare oltre l’acqua, per aggiungere quello che mancava nel piatto della storia e nella bilancia del mondo: il peso di un amore che nessuno poteva immaginare o pretendere. Ha messo il sangue là dove noi eravamo — e siamo — tentati di potercela cavare solo con l’acqua. Ha iniziato a generare salvezza nel mondo mostrando che alle parole e ai gesti possono seguire i fatti, senza soluzione di continuità, senza ripensamenti, senza annullamenti. Ha portato lo Spirito, l’Amore di Dio che rende possibile cogliere tutto questo mistero e, quindi, anche poterlo vivere: «Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità» (5,6). Il Natale si compie così, con il Cristo non più adagiato ma immerso nell’acqua, pronto a donare il sangue e lo Spirito. A noi non serve altro per chiudere definitivamente il periodo delle feste natalizie e ricominciare a svolgere il compito del nostro battesimo. Un dono che rimane molto spesso sigillato e incartato, senza sangue e, soprattutto, senza Spirito. Mentre può essere la sorgente capace di estinguere non solo la nostra sete, ma anche quella degli altri. Così, inevitabilmente, legata alla nostra. Non solo (di) acqua. 

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