AUTORITÀ

Martedì – I settimana del Tempo Ordinario
Oggi le Scritture ci costringono ad affrontare un tema difficile, quello dell’autorità. Proprio in questi termini viene descritto e riconosciuto il modo di parlare e di insegnare del Maestro Gesù: autorevole, toccante, efficace. Il significato di autorità, secondo l’etimologia latina, corrisponde ad “accrescere”, “aumentare”. L’etimologia greca è ancora più interessante: exousia significa “avere un’esistenza che proviene da fuori”, da altro rispetto a sé. Gesù — sembra dire il vangelo — era un uomo che mostrava di avere autorità, cioè era una persona cresciuta (bene) e capace di far crescere gli altri.

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga a Cafarnao insegnava.
Ed erano stupiti del suo insegnamento: 
egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi (Mc 1,21-22)

Purtroppo, avvertiamo tutti un’istintiva antipatia verso l’idea che un’autorità, esterna al nostro modo di sentire, si possa permettere di giudicare e orientare la nostra vita. Anzi, nel secolo scorso questo modo di pensare è diventato cultura, facendoci diventare una generazione orfana e smarrita. Siamo infatti liberi, indipendenti, spontanei e sfacciati. Ma siamo anche senza bussola, perplessi, confusi. Non abbiamo più riferimenti. Giochiamo i nostri giorni come una partita di calcio senza arbitro, li usiamo come un elettrodomestico senza foglietto di istruzioni, navighiamo dove ci pare, ma dove non sappiamo. In noi si è annidata una colossale menzogna, che il vangelo non esita a chiamare impurità.

Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare,
dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?» (1,23)

In mezzo a tutta questa confusione, ecco svelata la domanda nascosta che ci impedisce di affidarci all’autorità di (un) Dio. Nel nostro cuore abita il sospetto che Dio, in fondo in fondo, voglia fregarci, perché lo avvertiamo come una minaccia alla nostra vita e alla nostra libertà. In effetti, il Signore quando entra nei recinti della nostra vita, viene anche a distruggere. Ma non quello che siamo, soltanto quella mentalità che ci chiude e ci limita, cioè quei modi di vedere e affrontare la realtà fondati su noi stessi, su piccole misure, mediocri ed egoiste. Il Signore ordina severamente a questo spirito di uscire, mettendo a tacere la nostra paura di fare verità.

E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui».
E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte uscì da lui (1,25-26) 

Accogliere l’autorità di Dio nella nostra vita comporta un dolore, perché ci chiede di affrontare il trauma della correzione, l’umiltà di dover imparare da un altro a maturare il dono della nostra esistenza. Eppure la nostra libertà si rivela e si dispiega proprio quando ci riconosciamo creature e accettiamo serenamente di poter e dover imparare da colui che la vita ce la dona e ce la insegna. Anzi, quando ciò si rende necessario, la patisce persino con noi e al posto di noi. 

Conveniva infatti che Dio — per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, 
lui che conduce molti figli alla gloria — rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze 
il capo che guida alla salvezza (Eb 2,10)

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