PIANGERE

Giovedì – XXXIII settimana del Tempo Ordinario
Dopo i riferimenti a collirio e fazzoletti, l’esperienza del pianto descritta nelle letture odierne non appare certo fuori luogo. Le lacrime, quando sono libere di scendere dagli occhi, non possono mai essere giudicate inappropriate o futili. La capacità di piangere attesta una modalità molto naturale di saper entrare in relazione con se stessi e con il mondo, anche se si tratta di una relazione sofferta e sofferente. Le lacrime esprimono il sentirsi inadeguati alla realtà e il tentativo di fare qualcosa a partire da quello che si è. Sono un linguaggio potente per dire l’indicibile, per essere se stessi, senza doversi né capire, né spiegare. Piangere è, spesso, quanto ci accade quando la realtà smette di essere il luogo dove si inverano i nostri sogni, ma diventa un libro chiuso e sigillato davanti al quale essi si infrangono.

Io piangevo molto, 
perché non fu trovato nessuno degno di aprire il libro e di guardarlo (Ap 5,4)

Anche al Verbo di Dio incarnato non è stata risparmiata questa umana e dolorosa esperienza. Il vangelo la documenta proprio alla vigilia della sua passione, quando le lacrime di Gesù diventano sofferta rugiada di compassione nel suo approssimarsi a Gerusalemme, città simbolo del nostro destino ma pure della nostra ostinata chiusura all’incontro con Dio e alla visita della sua misericordia.  

In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, 
alla vista della città pianse su di esse dicendo:
«Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, 
quello che porta alla pace!» (Lc 19,41-42)

Le lacrime del Signore Gesù non nascono solo dal dolore per il nostro peccato e dal guaio della nostra indifferenza. Sgorgano anche dalla compassione per la nostra perduta libertà che, talora, non è più nemmeno capace di essere cosciente e bisognosa di salvezza. Proprio a causa di queste lacrime — versate per noi e su di noi — possiamo entrare in un rapporto libero con la nostra debolezza. Possiamo accordarci il diritto di effondere all’esterno quello che da sempre ci addolora e pulsa come ferita dentro di noi. Ma possiamo anche smettere di piangere, se il nostro cuore sta ormai credendo e cedendo al Dio che non lascia eternamente chiuso il libro della nostra vita. Ma lo apre e lo riapre a un futuro di vita piena ed eterna. 

«Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli,
perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue, 
uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione» (Ap 5,9)

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