INTIMI CONTENITORI

Festa dei Ss. Simone e Giuda
Gli apostoli Simone e Giuda vengono ricordati dalla liturgia con un’unica festa, probabilmente a causa di un comune apostolato in Mesopotamia e in Persia, dove sarebbero stati inviati a predicare il Vangelo. Oltre a essere un po’ oscurati dagli omonimi più noti nella cerchia dei Dodici (Simon Pietro e Giuda Iscariota), i due apostoli non hanno lasciato molte notizie di sé. Nelle liste dei Dodici, che Cristo scelse e chiamò dopo aver trascorso «tutta la notte pregando Dio» (Lc 6,12), i loro nomi variano, lasciandoci intuire qualcosa della loro personalità. 

Mentre Luca definisce Simone come «Zelota» (6,15), Matteo e Marco lo presentano come «il Cananeo» (Mt 10,4; Mc 3,18). In realtà i due appellativi si equivalgono, poiché esprimono lo stesso significato. Il verbo qana’ nella lingua ebraica significa «essere geloso» oppure «ardere di zelo» e può riferirsi tanto a Dio che è geloso del suo popolo, quanto a uomini che ardono di autentica passione nei confronti del Signore e della sua Legge. Come gli Zeloti, un movimento nazionalista che rivendicava l’indipendenza politica del regno ebraico e difendeva l’ortodossia religiosa. Possiamo certo pensare che, anche se non appartenne a un simile gruppo politico, Simone fosse un tipo ardente e appassionato nel servire l’unico Dio. 
    
A Giuda è riconosciuta la paternità di una breve lettera, che compare nel canone del Nuovo Testamento in coda a tutte le altre, appena prima dell’Apocalisse. In questo breve scritto possiamo riconoscere il cuore di questo apostolo, abituato a stare in secondo piano, ma sicuramente convinto dalla pasqua di Cristo a mettere sempre in primo piano la salvezza di Dio: «Voi invece, carissimi, costruite voi stessi sopra la vostra santissima fede, pregate nello Spirito Santo, conservatevi nell’amore di Dio, attendendo la misericordia del Signore nostro Gesù Cristo per la vita eterna» (Gd 20-21).

Questi apostoli — insieme agli altri — oggi ci ricordano due cose importanti. La prima è l’immensa dignità che il battesimo regala a quanti si immergono nella vita e nello Spirito del del Signore

«Fratelli, voi non siete più stranieri né ospiti, 
ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19)

Anche se la vita, molto spesso, ci fa sentire fuori posto e fuori tempo, noi cristiani — sul fondamento della dolcissima memoria apostolica — ci possiamo ricordare continuamente quanto è seria e bella la chiamata di Dio a diventare sua «abitazione per mezzo dello Spirito» (2,22). Di questo mistero non ci è sempre data l’evidenza, né il gusto, né la certezza. Ma sempre la dolce speranza, che le promesse del Signore Gesù siano vere e definitive. Inoltre, abbiamo un criterio di verifica per questa eredità. Ed è la seconda bella notizia che la festa di oggi vuole donarci. 

Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. 
C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente 
da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, 
che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie (Lc 6,17-18)

La chiamata a essere “intimi contenitori” di Dio non è un qualcosa che deve chiuderci dentro i confini di una gioia tutta personale. È al contrario un invito a scendere per diventare capaci — con il Signore e con gli altri discepoli — di essere una casa aperta a tutti. E a tutti capace di offrire quella parola di vita che ha cominciato a guarire la nostra umanità inferma e ferita. Rendendola — così — umile testimonianza del Regno. 

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