BRUCIANTE AMORE

Esaltazione della Santa Croce
Oggi la chiesa celebra una festa impegnativa: l’esaltazione della santa croce. Di esaltati e di esaltazioni il nostro mondo ne è pieno, pertanto la prima parte del titolo non fa alcun problema. È invece il simbolo della croce e rendere difficile la comprensione di questa solenne liturgia, perché la croce è un terribile strumento di morte, di cui oggi conosciamo varianti solo in apparenza meno crudeli: sedia elettrica, lapidazioni, impiccagioni, iniezioni letali. La croce rappresenta il gesto più efferato e disumano che un uomo possa compiere, decidendo di togliere la vita al proprio fratello. Noi però esaltiamo la croce santa, quella che Dio ha voluto liberamente abbracciare «perché il mondo sia salvato» (Gv 3,17). 

Trailer
Il racconto del libro dei Numeri ci racconta i primi tentativi fatti da Dio per annunciare questo grande mistero. Il popolo di Israele è uscito dalla schiavitù d’Egitto e sta camminando verso la terra promessa da Dio, ma «non sopportò il viaggio» (Nm 21,4). Si diffonde lo scontento e nasce una vera e propria ribellione «contro Dio e contro Mosè» (21,5). Il popolo avverte i morsi brucianti della sfiducia e dell’orgoglio, velenosi come «serpenti» (21,6) che uccidono la capacità di camminare: «E un gran numero d’Israeliti morì» (21,6). Allora Dio interviene con un segno di salvezza: «Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita» (21,9). Accade proprio così: quando non riusciamo a leggere con uno sguardo profondo le prove della vita e iniziamo a lamentarci, siamo come feriti e colpiti nella nostra possibilità di godere la vita. Trasformiamo le occasioni di volgerci a Dio per scoprirne e gustarne la provvidenza, in momenti di isolamento e di solitaria sofferenza. Dio, sin dai tempi antichi, non ci lascia però soli, ma ci offre un segno di salvezza. In esso noi riceviamo l’aiuto a guardare in faccia il male che abbiamo abbracciato e, al contemp, a non dimenticare il volto di quel Dio che non vuole «perduto» (Gv 3,17) nessuno dei suoi figli.

Prima (e ultima) visione
Le parole che Gesù scambia di notte con il cercatore Nicodemo aprono definitivamente il sipario su questo mistero d’amore, lasciando vedere fino in fondo il segno e il significato della croce: «E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (3,14-15). L’esperienza dell’Esodo viene da Gesù ripresa e attualizzata, diventando un simbolo potente nel quale tutta l’umanità e tutta la storia si possono riconoscere. Il popolo in cammino è la famiglia umana, il deserto è il mondo nel quale viviamo il passaggio alla vita eterna, i serpenti che ci mordono sono le passioni inutili che ci impediscono di portare a termine il viaggio della nostra vita. Ma Dio — che conosce bene la nostra radicale difficoltà a camminare fino a lui — «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (3,16-17). Dio ci vuole così bene che, vedendoci morire e soffrire, fa la pazzia: si mette al nostro posto. Era necessario. Per lui e per noi. Dio non poteva non dimostrarci il suo infinito amore, perché l’amore per sua natura tende a manifestarsi, come la luce. E noi avevamo bisogno di capire che davanti alla nostra miserabile storia umana non c’è un Dio che vuole «condannare il mondo», ma un Amore immenso che desidera che «il mondo sia salvato» (3,17). Solo attraverso questa Buona Notizia, possiamo rialzarci e riprendere il cammino. La croce del Signore Gesù è la manifestazione di quanto amore «bruciante» ci sia nel cuore di Dio per noi. 

Un modo di vivere (e non di morire)
Per quanto sia bello ricordarci che Dio ha sofferto per noi, ciò non è sufficiente ad esaltare la croce in senso evangelico. Potremmo correre il rischio di valorizzare il dolore o — peggio ancora — l’eroismo, incrementando il gregge dei disperati e dei narcisi. Le parole dell’apostolo Paolo completano la catechesi di questa festa, ricordandoci che la croce è un modo di vivere, non un modo di morire. Gesù è salito sulla croce perché ha voluto condividere la nostra vita, anche quando ciò ha significato per lui conoscere la sofferenza e la persecuzione, l’amarezza del nostro rifiuto. Questo modo di vivere «obbediente» a noi, ci ha rivelato un mistero d’amore: Dio ci vuole bene «fino alla morte e una morte di croce» (Fil 2,8) perché non può rinunciare mai a considerarci suoi figli. Per questo Dio «esaltò» Cristo Gesù dandogli «il nome che è al di sopra di ogni nome» (2,9). Noi invece cerchiamo di esaltarci in modo patetico, abbassando gli altri e ritenendoli — quanto meno — peggiori di noi. Oppure tentiamo di amare in quel modo un po’ depresso e aggressivo che ci fa oscillare tra momenti in cui siamo i servi di tutti e altri nei quali scarichiamo sul prossimo tutta la nostra aggressività. Fare memoria della croce, esaltare il segreto mistero, significa accettare un profondo ripensamento del nostro modo di vivere. Durante il giorno facciamo il segno della croce tante volte: quando ci alziamo, prima dei pasti, prima di andare a letto. Forse è necessario ridare senso a questo gesto con il quale manifestiamo, senza imbarazzo e senza dover imbarazzare nessuno, le nostre intenzioni profonde di servizio e di amore verso i fratelli. Esaltare la croce significa rinnovare il desiderio di essere discepoli che vogliono imitare il Maestro, fino a mettere l’interesse dell’altro davanti al proprio. L’esaltazione della croce è l’antidoto a una vita cristiana che possa in qualche modo coincidere con la ricerca di «un privilegio» (2,6) davanti a fratelli, anziché un servizio generoso nei loro confronti. È l’occasione di superare, attraverso lo slancio di un cuore che si dona, le nostre stanchezze personali, le penombre familiari, il brutto clima che talvolta si respira negli ambienti di lavoro. Per amore di Dio e dei fratelli.

Commenti