PRIMEGGIARE

Festa di S. Giacomo apostolo
All’interno del primo collegio apostolico, la figura di Giacomo detto il Maggiore, uno dei due «figli di Zebedeo» (Mt 20,20), viene ricordata soprattutto per il martirio che egli, primo fra tutti, subì all’inizio degli anni 40 da parte del re Erode Agrippa. A questo singolare primato si possono riferire, come adeguato commento, le parole che alcuni anni più tardi Paolo scrisse alla chiesa di Corinto, tratteggiando i lineamenti essenziali della vita dei discepoli del Risorto.

«Portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, 
perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. 
Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, 
perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale» (2Cor 4,10-11)

A dire il vero, l’itinerario che condusse Giacomo a versare il suo sangue nel nome di Cristo, ha mosso i passi da ben altre aspirazioni, a giudicare dalla domanda che un giorno sua «madre» (sic!) rivolse al Signore Gesù, anche a nome dell’altro figlio Giovanni.

«Di’ che questi miei due figli siedano 
uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno» (Mt 20,21) 

Giacomo si è messo alla sequela di Gesù con il suo carattere forte — che valse a lui e al fratello il soprannome di «figli del tuono» (Mc 3,17) — e un cuore pieno di aspirazioni e sogni di gloria. La pedagogia del Signore Gesù nei confronti dei discepoli non si esprime mai nella denuncia dei desideri ancora segnati da paure ed egoismi, ma nella loro evangelizzazione. Per questo, dopo aver risposto a Giacomo e a Giovanni — e non alla «madre» dei loro desideri — spiegando loro che la gloria non è frutto di raccomandazione o di conquista ma «è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato» (Mt 20,23), il Signore rivolge un insegnamento anche agli altri dieci discepoli, sdegnati e quindi abitati dalla stessa, vana bramosia. Le parole di Gesù offrono all’aspirazione di grandezza una diversa traiettoria di compimento, quella che risponde ai criteri della vita che accetta di farsi dono. 

«Chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. 
Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto a farsi servire, ma per servire 
e dare la propria vita in riscatto per molti» (20,27-28)


L’insegnamento è naturalmente rivolto anche a noi, per aiutarci a ricordare che «non sarà così» (20,26) come noi ingenuamente pensiamo che si potrà realizzare la ricerca di una vita profondamente evangelica. Soltanto nella misura in cui siamo disposti a rinnegare i capricci dell’infanzia, che prima ci seducono e poi ci rattristano, possiamo entrare nella dimensione adulta dell’esistenza, accettando di essere e di avere non altro che «un tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi» (2Cor 4,7). Non infatti i troni su cui immaginiamo di dover sedere, ma i fratelli e le sorelle che abbiamo l’occasione di servire, gli uomini e le donne a cui possiamo restare fedeli, fanno «abbondare l’inno di ringraziamento, per la gloria di Dio» (4,15). Questo calice, tutti «lo possiamo» (Mt 20,22) bere. 

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