LA FACCIA VERSO LA PARETE

Giovedì – XV settimana del Tempo Ordinario
La descrizione dell’angoscia vissuta dal re Ezechia, alla notizia della sua morte imminente, non può che coinvolgerci, intercettando sentimenti e ferite che ciascuno di noi porta sotto la pelle. Davvero in alcuni momenti non sembra esserci altro da fare che voltare le spalle al mondo e alla storia, per chiuderci con dignità nei confini — ai nostri occhi sempre così vasti  — del nostro dolore. E farci un bel pianto liberatorio. 

Ezechia allora voltò la faccia verso la parete e pregò il Signore dicendo:
«Signore, ricordati che ho camminato davanti a te con fedeltà e con cuore integro
e ho compiuto ciò che è buono ai tuoi occhi». Ed Ezechia fece un gran pianto (Is 38,3)

Davvero un bel pianto è il gesto più liberatorio e fecondo in certi momenti difficili. Quando la vita diventa inesorabilmente un vicolo cieco, senza sbocchi né scappatoie. Un luogo arido e sterile, dove appare spietato perseverare. Persino nella più semplice delle vocazioni: quella di arrivare a sera conservando pace e speranza. Eppure c’è pianto e pianto. Ezechia effonde le sue lacrime davanti a un muro, metafora della dura realtà, ma soprattutto davanti a Dio, presenza sofferta ma indiscussa. E Dio, a suo modo e coi suoi tempi, fa sempre nuove tutte le cose. 

«Ecco, io faccio tornare indietro di dieci gradi l’ombra sulla meridiana, 
che è già scesa con il sole sull’orologio di Acaz». 
E il sole retrocesse di dieci gradi sulla scala che aveva disceso (38,8)

Non di rado ci dimentichiamo di questo, e i nostri atteggiamenti religiosi iniziano a diventare sterili e grotteschi. Senza averne immediata consapevolezza, ci trinceriamo in una piccola — o grande — selva di abitudini e regole, con le quali proviamo a sentirci giusti, nella speranza che lo sguardo di Dio resti favorevole. A noi, naturalmente. Perché gli altri, invece, cominciamo a guardarli con sospetto e giudizio.

Vedendo ciò i farisei gli dissero: 
«Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabato» (Mt 12,2)

Per i farisei “la parete” non è più luogo di umiltà e di conoscenza di Dio, ma è diventata una barriera da erigere davanti agli altri, per non dover riconoscere che il mistero di bisogno e debolezza presente in loro li riguarda. Il Signore Gesù si mette in dialogo con questa malattia del cuore, che sempre si traduce in atteggiamenti di condanna. Verso se stessi, prima che verso gli altri. Riconsegna ai farisei — anche a quello che c’è in ciascuno di noi — la parola di Dio contenuta nelle scritture. Una parola che non si stanca mai di dirci che oltre la parete, dentro il cuore di Dio, c’è sempre — solo — un oceano di misericordia. Pronto a fare di tutto — persino far indietreggiare il tempo — propter nos homines et propter nostram salutem Pronto a fare di tutto — persino far indietreggiare il tempo — propter nos homines et propter nostram salutem

«Se aveste compreso che cosa significhi: 
“Misericordia io voglio e non sacrifici”, non avreste condannato senza colpa» (12,7)

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