ARTIGIANI O OPERAI?

Martedì – XIV settimana del Tempo Ordinario
Tra i mestieri più belli, creativi e ricchi di tradizione, quello dell’artigiano occupa certo un posto d’onore. Fortemente in crisi oggi, nella società della globalizzazione e delle multinazionali, l’artigianato rappresenta ancora una sfida di bellezza e qualità per il mondo dell’economia. Nella prima lettura di oggi, però, questo termine viene assunto in un’accezione negativa. 

«Viene da Israele il vitello di Samarìa, è opera di artigiano, 
non è un dio: sarà ridotto in frantumi (Os 8,6)

Il profeta è mandato dal Signore ad annunciare il peccato di idolatria, sempre foriero di divisioni e contrapposizione tra gli uomini. In Samaria si è costituito un culto alternativo a quello celebrato nella città santa di Gerusalemme. Questa circostanza storica — le cui conseguenze sono ancora visibili al tempo di Gesù — diventa l’occasione per Dio di annunciare con forza l’inutilità degli idoli, l’illusione del confidare nell’opera delle proprie mani.

«Diventi come loro chi li fabbrica
e chiunque in essi confida!» (Sal 113b,8)

Naturalmente la Scrittura non sta biasimando una professione nobile e bella, che sarà pure praticata dallo stesso Figlio di Dio nella sua vita terrena. La sta solo assumendo per denunciare il rischio più temibile che l’uomo corre nel suo agire credente: moltiplicare gli altari senza dilatare l’amore, sacrificare senza rendere sacra la vita. Il brivido di questa possibilità deve attraversare le pareti più interne del nostro cuore, perché non c’è ambiguità più dolorosa di questa: essere davanti a Dio senza più stupore.   

E le folle, prese da stupore, dicevano: «Non si è mai vista una cosa simile in Israele!».
Ma i farisei dicevano: «Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni» (Mt 9,33-34)

Quando volgiamo le spalle al vero Dio e cominciamo a piegare le ginocchia a un idolo scolpito dalle nostre mani diventiamo tristi artigiani di una vita solo apparentemente a nostra disposizione. Lo attesta quell’indurimento del cuore che ci impedisce di ascoltare — e praticare — la follia dell’amore. Quel criterio, in fondo così semplice e quotidiano, capace di dare forma ai nostri pensieri, alle nostre parole. Quindi anche alle nostre azioni.  

Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore.
Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!
Pregate dunque il Signore della messe perché mandi operai nella sua messe!» (9,36-38)

La buona notizia è tutta qui, nel passaggio da artigiani a operai. La vita torna a essere un mestiere stancante — a volta sfinente — solo quando ci separiamo dal vero Artigiano che, con sapienza, ce la dona con sapienza e provvidenza. Chiedendoci di operare con amore e allegria. Senza assumerci il peso del diritto d’autore. Solo la libertà dei figli. 

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