SENZA PIEGHE

Venerdì – XI settimana del Tempo Ordinario
“Non fa una piega”: siamo tutti molto soddisfatti quando la realtà si mostra così ai nostri occhi: chiara, ordinata, razionale. Come un bel ragionamento che ci convince di qualcosa che abbiamo lungamente tentato di capire invano. Eppure la storia spesso di modula altrimenti. Numerose e fitte complessità si presentano a noi, ogni giorno, offrendoci continue occasioni di cedere alla fuga o, quanto meno, all’arte dell’elusione. 

Ma Ioseba, figlia del re Ioram e sorella di Acazìa, prese Ioas, figlio di Acazìa, 
sottraendolo ai figli del re destinati alla morte, 
e lo portò assieme alla sua nutrice nella camera dei letti; 
lo nascose così ad Atalìa ed egli non fu messo a morte (2Re 11,2)

Raramente le circostanze sono per noi così drammatiche. Molto spesso siamo chiamati ad azzardi molto meno pericolosi di quello che Ioseba è costretta a fare, per sottrarre il piccolo Ioas alla follia omicida della crudele regina di Giuda. Tuttavia la complessità del reale richiede continuamente quest’audacia: saper sottrarre qualcosa alle situazioni in cui la vita è decurtata o minacciata per promuovere il sorgere — a volte l’insorgere — di una vita più grande. Persino a costo di operare grandi tagli, non più sulla carne degli altri, ma su quella del nostro cuore. 

Tutto il popolo della terra era in festa e la città rimase tranquilla:
Atalìa era stata uccisa con la spada nella reggia (11,20)

Il vangelo ci aiuta a non cogliere nella prima lettura un’autorizzazione alla violenza, ma alla semplificazione. Per non correre il rischio di accumulare tesori nel posto sbagliato — dove non il potremo godere né condividere — il Signore Gesù va al cuore del discorso. Non è la realtà il luogo da modificare, ma il nostro modo di coglierla e accoglierla. 

«La lampada del corpo è l’occhio; 
perciò se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso» (Mt 6,22)

«Semplice» ha la stessa radice della parola «piega». Denota ciò che è senza pieghe: liscio, disteso, non ricurvo su se stesso. Come un occhio possa risultare complesso ci è abbastanza difficile capirlo — sebbene gli occhi accartocciati alla mattina siano un’esperienza universale. Meno arduo è pensare a cosa è un corpo poco luminoso. È quello che siamo noi quando i nostri occhi filtrano la realtà con l’arma del giudizio e con il diaframma della paura. Quando le circostanze restano sfavorevoli perché non permettiamo alla amore — di cui unicamente siamo fatti — di manifestarsi. Come azzardo, fantasia, scelta. E facciamo la triste scoperta: il contrario della semplicità è la cattiveria. 

«[...] ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso.
Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tua tenebra!» (6,23)

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