NON PORSI CONTRO

Lunedì – XI settimana del Tempo Ordinario

La cosiddetta “legge del taglione” viene dal Maestro Gesù emendata dalle sue possibili devianze e, al contempo, radicalizzata. La norma che disciplinava il comportamento in caso di torto subito non era, nelle intenzioni del grande legislatore — Dio — un’autorizzazione alla vendetta, ma la precisazione di un limite alla sua manifestazione. Se ti hanno tolto un occhio, non cavarne due all’avversario: così affermava la Legge di Mosè.

«Ma io vi dico di non opporvi al malvagio;
anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra» (Mt 5,39)

Quella che risuona come un’esagerata e utopica misura di amore, trova nel vangelo una singolare attuazione nella vita dello stesso Gesù. Schiaffeggiato per il suo parlare schietto davanti al sommo sacerdote, il Signore non reagisce con rassegnata e inerte passività: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?» (Gv 18,23). Porgere l’altra guancia non significa esattamente abbozzare, ma offrire all’altro la qualità di una relazione che non accetta mai il compromesso con la violenza e non baratta mai la verità per il quieto vivere. L’esempio di Nabot diventa, a questo punto, estremamente illuminante. Intimidito dal capriccioso re Acab, che vuole a tutti i costi acquistare la sua vigna, decide di non piegare le ginocchia all’arroganza dell’ingiustizia. 

Nabot rispose ad Acab: 
«Mi guardi il Signore dal cederti l’eredità dei miei padri» (1Re 21,3)

Il re, «amareggiato e sdegnato» (21,4), non capisce il senso delle parole di Nabot, che rimangono impresse nel suo cuore in malo modo: «Non cederò la mia vigna» (21,6). Ma Nabot aveva parlato dell'eredità dei suoi padri, non della sua vigna! Questo bisticcio linguistico rivela in realtà una duplice modalità di possedere le cose. Per Nabot la vigna è un’eredità ricevuta, quindi un dono da custodire. Per Acab invece la vigna è un capriccio, quindi qualcosa da avere e possedere a qualsiasi prezzo. E il prezzo, infatti, sarà alto.

Condussero (Nabot) fuori della città e lo lapidarono ed egli morì.
Quindi mandarono a dire a Gezabele: «Nabot è stato lapidato ed è morto» (21,13-14)

Nabot muore senza essersi posto contro il re, ma nemmeno contro la vita ricevuta in dono e in eredità. Spesso questa seconda forma di martirio ci chiama e ci attende nei giorni che viviamo. Senza aver di fronte nemici o persecuzioni, ci troviamo spesso di fronte alla necessità di scegliere sempre la vita e la sua custodia. Mai la logica della contrapposizione e l’illusione della vendetta. Facendo della mitezza — che sa perdere e persino morire — l’unica, violenta ostinazione del cuore. 

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