FELICI, DOVE?

Lunedì – X settimana del Tempo Ordinario
La prima lettura ci offre un’originale chiave d’ingresso per il discorso montagna, che il Signore Gesù inaugura con le Beatitudini. Mentre il re Acab comincia a fare il male agli occhi del Signore, prendendo in moglie Gezabele, e permettendo ai suoi culti pagani (Baal) di entrare liberamente nei costumi del regno di Israele, Elia si trova costretto a decretare che ciò non sarà privo di conseguenze. 

«Per la vita del Signore, Dio d’Israele, alla cui presenza io sto, 
in questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo comanderò io» (1Re 17,1)

Costretto poi a fuggire e a nascondersi presso un torrente — per non incappare subito nelle ire del re e della nuova regina — Elia fa la scoperta che i luoghi d’esilio possono trasformarsi in territori di benedizione, dove si sperimenta la provvidenza. In altre parole scopre che la via verso la felicità non passa necessariamente — anzi! — attraverso il consenso e la soddisfazione dei più istintivi bisogni. 

«Berrai dal torrente e i corvi per mio comando ti porteranno da mangiare» (17,4)

Su questa scia, il vangelo delle beatitudini viene a strapparci dal triste inganno di una cultura che continua ad affermare che per toccare il cielo con un dito — per essere felici — bisogna occupare un prestigioso ruolo sociale, conquistare gratificazioni e riconoscimenti attraverso gli strumenti del possesso e del potere. Le Beatitudini proclamano invece che la strada verso una vita piena non sta fuori, ma esattamente nelle circostanze in cui noi — come tutti — sempre torniamo a trovarci. Ci assicurano che non è vero che siamo tutti destinati alla felicità. È piuttosto vero il contrario: la felicità è destinata a noi, da sempre, da Dio nostro Padre. La chiave della gioia autentica non sta in cima ai nostri desideri frustrati, ma in fondo alla consapevolezza di quello che siamo. Le Beatitudini sono l’invito ad accogliere quello che ciascuno si ritrova a essere e a patire con gratitudine, rifiutando l’illusione che la vita possa cambiare per l’intervento di qualcosa di esterno ed estraneo a noi stessi. 

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3)

La povertà di spirito è l’attestazione che la realtà, così com’è, può diventare luogo e modo di felicità, l’invito a credere che non esiste altro che possa rendere felici se non quello che si è e quello che la vita ci permette di essere. Da questa consapevolezza, possono nascere sentieri nuovi e inaspettati. Quelli in cui sperimentiamo che è possibile essere in una profonda pace — gioire — proprio là dove non ce lo aspettavamo. Là dove tutto sembra remare contro. Dove molte cose importanti non ci sono (ancora). Ma il necessario non manca. 

I corvi gli portavano pane e carne al mattino, e pane e carne alla sera; 
egli beveva al torrente (1Re 17,6)

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