PER MANO NOSTRA

Venerdì – V settimana del Tempo di Pasqua
Anche se Giovanni non ha descritto quale effetto hanno sortito nei discepoli la parole di intimità rivolte loro dal Signore Gesù, possiamo ben immaginare che in loro sia avvenuto qualcosa di simile a quanto hanno sperimentato «i fratelli di Antiòchia», quando hanno ricevuto lo scritto proveniente da Gerusalemme, quale frutto del primo grande confronto che la chiesa dovette affrontare per rimanere fedele alla grazia del vangelo. 

Quando l’ebbero letta, 
si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva (At 15,10-11)

Del resto come non rallegrarsi, e come non ritrovare fiducia e coraggio, quando Dio si mette in dialogo con noi per esplicitare con le parole — spesso così necessarie — quello che ci ha già mostrato e donato con la vita?

«Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone;
ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15)

L’esperienza di essere stati chiamati amici piuttosto che servi viene, definitivamente, dichiarata e consegnata alla storia dallo stesso Maestro. I discepoli avevano già gustato il sapore così autentico e forte della possibilità di essere così intimi con il Signore Gesù da poter reclinare il proprio capo sul petto della sua misericordia. Il sentimento provato viene però ora confermato e, in qualche modo, rilanciato da una parola, limpida e calda come un atto d’amore. Che suscita e chiede altro amore.

«Nessuno ha un amore più grande di questo: 
dare la sua vita per i propri amici» (15,13)


Un’esperienza simile si realizzò nel “primo concilio” della storia, quando la comunità cristiana si trovò a dover decidere come dilatare — senza diluire — la forza e la libertà del vangelo, nel momento in cui lo Spirito Santo iniziava a operare oltre i visibili confini della chiesa nascente. In quella circostanza non sembrò sufficiente mettere per iscritto la decisione di non imporre alcun obbligo ai neofiti provenienti dal mondo pagano. Sembrò invece buono — anzi necessario — «scrivere per mano» (cf. At 15,23) di due persone, incaricate di incoraggiare con la loro presenza la comprensione e l’accoglienza della lettera. Uno stile che non dovrebbe mai essere estraneo al modo di fare dei cristiani, come tutti gli altri sempre tentati di parlare senza esserci fino in fondo. Oppure di esserci, senza però regalare la gioia di una parola amica. Tentati, cioè, di non essere quello che siamo: «una lettera di Cristo», scritta «con lo Spirito del Dio vivente» (2 Cor 3,2). 

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