LA QUALITÀ DEL VIAGGIO

VI Domenica di Pasqua – Anno A
Il tempo di Pasqua ha ricaricato le cartine geografiche sul navigatore del nostro cuore sempre smarrito, sempre in cerca di orientamento. Per essere felici non bastano regole, bisogna percorrere la strada di Cristo, assumendo il suo vangelo come varco che introduce nella libertà dei figli. Questa domenica le parole del Signore Gesù indicano l’amore come unica condizione di accesso a ogni autentica rinascita, preparandoci a desiderare e ad attendere il dono dello Spirito, quel vento discreto e potente capace di riaprire ogni strada, di rilanciare  ogni cammino. 

Amanti
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Gv 14,15). Quando ascoltiamo una frase ipotetica, siamo frequentemente tentati di sospendere subito l’ascolto. Sappiamo bene che i “se” nascondono insidie, essendo spesso preludio di quel modo ricattatorio con il quale siamo soliti rivolgerci gli uni gli altri. “Se mi amassi, certo capiresti che...”; “Se mi volessi davvero bene, sapresti anche...”; “Se fossi davvero un bravo papà/mamma/figlio/ecc., dovresti comportarti in un altro modo...”. Fortunatamente la parola del Maestro non è affatto un’ipotetica del ricatto, ma dell’eventualità. Non incrementa l’elenco dei doveri, ma dichiara una possibilità, un orizzonte per tutti accessibile. Non c’è supplica e non c’è ricatto, solo uno straordinario annuncio: prima c’è l’amore, poi l’osservanza dei comandamenti. La vita cristiana non inizia e non riparte mai come un dovere, ma come una «grande gioia» (At 8,8) che si sviluppa e contagia. Noi ci scopriamo capaci di osservare i comandamenti di Dio e la proposta di vita del vangelo, nella misura in cui sappiamo stabilire un rapporto di amicizia e di intimità con il Signore Gesù. Finché non (ri)troviamo questa sintonia di amore, tutto resta difficile, per non dire impossibile. La chiesa ci appare solo come una pesante struttura, i sacramenti antiche liturgie avulse dalla quotidianità, la morale una fitta rete di precetti e divieti difficile da osservare. Se invece ci accorgiamo che al centro del nostro essere cristiani c’è un Signore che ci ama e che noi possiamo amare, ogni cosa ritrova i suoi contorni. E scopriamo di poter vivere un’esistenza felice, abitata da Dio, piena di pace e dignità.

Orfani
Il Signore Gesù non ha posto casualmente l’amore verso di lui come garanzia dell’essere discepoli. Guardando i suoi dodici spaventati amici in profondità si è accorto che il loro problema era sostanzialmente uno: essere «orfani» (Gv 14,18), sprovvisti di un amore sicuro e fondante. Non avere un padre è, per alcune persone, esperienza dolorosa in questo mondo, che lascia un segno per tutta la vita. Significa nascere e crescere sprovvisti di quella consapevolezza che fonda ogni umano tragitto: la vita si riceve da mani altrui, non si conquista e non si merita, poiché è dono. A questo livello, forse siamo tutti un po’ orfani. Gli idoli che abbiamo accumulato nel corso della vita ce lo confermano. Le illusorie paternità a cui ci siamo legati ce lo testimoniano. Viviamo da orfani, infatti, quando vaghiamo senza orizzonte, quasi mendicando il diritto di stare sul palcoscenico del mondo e restando troppo facilmente sedotti dalla voce di chi ci lusinga con false promesse, facendoci vivere per cose sempre inferiori a noi stessi. Siamo orfani quando ci sentiamo sempre nel bisogno di essere adottati e accettati, continuamente in cerca di conferme e di identità. Senza il nome del Padre celeste tatuato dentro come sigillo, come viva speranza. 

Amati
A causa di questo nostro essere irrimediabilmente soli, il Signore ci ha comandato” di partire sempre e soltanto dall’amore, assicurandoci che nell’affrontare questa audace impresa, in fondo, non ci troveremo mai in una completa solitudine: «E io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14,16). È la stessa esperienza vissuta da quelle folle samaritane che avevano accolto la predicazione di Filippo, ai quali vengono inviati Pietro e Giovanni: «Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù» (At 8,15-16). Il Consolatore è l’invisibile presenza di Dio che restituisce «verità» (14,17) alla vita del mondo, perché interviene in difesa di ogni autentico tentativo di mettere l’amore al centro, si pone a difesa e sostegno di ogni cuore che riapre la partita dei rapporti autentici. Questa è infatti l’unica strada che nulla — nemmeno il peccato — può impedirci di trovare e percorrere. La coerenza, l’adeguatezza, l’efficienza, la perfezione, la purezza: sono bei traguardi che però spesso mancano tra i nostri trofei quotidiani. Il bisogno e la voglia di amare sono invece il tessuto irriducibile di cui il nostro cuore resta fatto, l’insopprimibile ansia che riveste di rugiada anche i più faticosi risvegli. Ecco perché, a pochi passi dalla Pentecoste, la Parola ci esorta a riconsiderare ogni cosa a partire dall’amore. Non quello che c’è stato e ora non c’è più, non quello che ci potrebbe o ci poteva essere, ma quello che domani possiamo ricevere, coltivare e restituire. L’amore verso il Signore e verso i fratelli. Da questo amore nasceranno — con naturalezza — le obbedienze ai comandamenti, i sacrifici, la fedeltà, le cose grandi che ci sarà dato e chiesto di compiere. Mossi da questo impulso genuino e gratuito arriveremo certamente oltre e lontano da noi stessi. Dopo aver rinunciato a definire il punto di arrivo. Dopo aver assicurato la qualità del viaggio. 

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