GRADUALMENTE

Mercoledì – VI settimana del Tempo di Pasqua
Non fu certo un disastro. Anzi, con la sua non comune capacità di entrare in dialogo con qualsiasi contesto culturale, l’apostolo Paolo riuscì a farsi ascoltare volentieri nell’Areopago di Atene. Il suo spirito di osservazione e la sua profonda intelligenza gli permisero di saper prima catturare l’attenzione dei cittadini ateniesi, facendo riferimento alla loro cultura religiosa, e poi di azzardare l’annuncio evangelico.

«Ebbene, colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio» (At 17,23) 

Forse però il suo zelo si spinse troppo oltre, arrivando frettolosamente ad annunciare la risurrezione dai morti del Cristo. A quelle parole, infatti, la maggior parte di presenti fece spallucce e lo derise. Quando poi l’apostolo arrivò a Corinto — successiva tappa del suo viaggio missionario — si ritrovò costretto a riconoscere che non è «l’eccellenza della parola o della sapienza» (1Cor 2,1) a convertire gli uomini al mistero di Cristo, ma solo l’unzione dello Spirito Santo legata alla parola della croce. 

«Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. 
Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. 
La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, 
ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, 
perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio» (2,2-4)

Un discorso molto diverso da quello fatto ad Atene. Ma forse, proprio il fallimento di quel sermone bello ma non così fecondo, aveva insegnato a Paolo a custodire la passione di Gesù al centro della sua predicazione. Ogni apostolo impara a sue spese quanto sia necessario un lungo cammino per poter giungere — e per condurre gli altri — verso «tutta la verità» (Gv 16,3). E, soprattutto, nella verità rivelata da Dio, il mistero della croce abbia una centralità indiscutibile e imprescindibile. Proprio queste motivazioni suggeriscono al Signore Gesù di mantenere una prudente e intelligente gradualità nell’introdurre i suoi discepoli verso la pienezza della fede.

«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso» (16,12) 

Il Maestro ha saputo fermarsi prima che lo «spettacolo» (Lc 23,48) della croce accecasse il cuore dei discepoli, affidando allo Spirito Santo il compito di continuare a annunciare il mistero di Dio. C’è infatti un peso specifico che ogni verità porta con sé, che non sempre siamo capaci di portare nel nostro cuore. In molte relazioni che viviamo, spesso trascuriamo di chiederci a che velocità convenga viaggiare, lasciandoci il più delle volte vincere dall’ansia di manifestarci oppure di inghiottire l’altro dentro i nostri bisogni. Ma chi ama non ha e non può avere fretta, perché l’amore riesce a mettere al centro non il proprio bisogno ma quello dell’altro. Certo, bisogna fare attenzione che una necessaria gradualità non si trasformi, colpevolmente, in superficialità e rassegnazione. L’esperienza di Paolo ci ricorda che essere pazienti e accoglienti non deve implicare mai la rinuncia alla memoria di quanto Dio ha amato il mondo. E di quanto noi abbiamo assoluto bisogno di questo amore per uscire dalle tenebre di questo mondo. 

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