FUORI E DENTRO

IV Domenica di Pasqua – Anno A
In questa quarta domenica di Pasqua il Signore risorto si presenta a noi «a voce alta» (At 2,14) attraverso la «similitudine» (Gv 10,6) del pastore capace di condurre le nostre «anime» (1Pt 2,25) verso quell’«abbondanza» (Gv 10,10) di vita che è il nostro desiderio profondo. 

Fuori
Era usanza in Israele, al tempo di Gesù, che i pastori di notte chiudessero i loro greggi in un unico recinto. La condivisione era una pratica opportuna e molto apprezzata. Di notte le pecore e le capre si mescolavano tra loro, gli schieramenti perdevano visibilità. Ma la mattina, alla voce dei padroni, gli animali erano pronti a uscire unicamente quando sentivano la voce del loro legittimo pastore. Diventano immediatamente comprensibili le parole del Signore Gesù: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore» (10,1-2). In attesa della Pentecoste, la Chiesa riconosce in queste parole un preciso invito a non avere paura circa i modi e i tempi con cui avrà compimento la speranza della Pasqua. Per quanto lunga possa essere la notte, per quanto persi e privi di guida possiamo sentirci, colui che ha portato «i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce» certamente ci farà udire la sua voce inconfondibile, affinché non viviamo più «per il peccato», ma «per la giustizia» (1Pt 2,24). Non dentro i recinti della paura e della mediocrità, ma fuori, nei pascoli della gioia e dell’armonia è il nostro destino. «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza», assicura il Signore. Ne sa qualcosa Pietro, che dopo essersi torturato nel dolore per aver perso e rinnegato il Maestro, è stato ricolmato di forza dal «dono dello Spirito santo» (At 2,38) e catapultato fuori dai propri orizzonti, fino a diventare un uomo capace di «trafiggere il cuore» (2,37) degli uomini amati da Dio. 

Dentro
È bello essere guidati fuori, verso libertà e pienezza di vita. È un regalo meraviglioso  essere condotti lontano dai sensi di colpa che paralizzano e angosciano. Tuttavia, quanta fatica facciamo a lasciarci educare nel vivere meglio la nostra legittima autonomia di scelta e di decisione. Non appena qualcuno cerca di esercitare un’autorità nei nostri confronti ci mettiamo due secondi a scollegarci e a chiuderci. Persino quel grande comunicatore che era il Figlio di Dio si è imbattuto nella nostra incapacità di ascolto: «Essi non capirono di che cosa parlava loro» (Gv 10,6). Il Maestro, infinitamente paziente, cambia immagine e continua ad insegnare: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore». Interessante: il Signore è vicino a noi come un pastore, ma distante come una porta; ci guida, ma lo fa in un certo senso, a distanza. Dopo aver dato la sua vita per noi, il Signore non intende, né pretende farci da padrone, ma vuole più amabilmente essere il «custode» delle nostre «anime» (1Pt 2,25). Non ci ha lasciato ordini perentori e fardelli insopportabili, ma «un esempio», affinché noi possiamo seguire le sue «orme» (2,21). Il modo con cui il pastore Gesù ci guida è ben diverso da quello a cui ci hanno abituato i moderni navigatori satellitari, che emettono precisi e continui segnali per orientare il nostro percorso. Il Signore morto e risorto sta davanti alla nostra libertà come una porta che da lontano chiede di essere prima riconosciuta, poi aperta e infine attraversata. Purtroppo non sempre siamo capaci di riconoscere questa porta. Spesso ci lasciamo sedurre da altri ingressi, più spaziosi e accoglienti, anziché scegliere la strada povera e umile percorsa da Cristo, il quale «insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia» (2,23). 

Chiamati
Solo passando per la porta di Cristo troviamo le risposte alle domande cruciali: chi siamo? Dove stiamo andando? A cosa siamo chiamati? Fino a quando non scopriamo quale  tessera siamo nel grande mosaico della creazione di Dio, siamo prede facili e tristi dei «ladri» e dei «briganti» (Gv 10,8). Dobbiamo imparare a riconoscere la voce del Pastore buono, che ci conosce e ci chiama «per nome» (Gv 10,3), perché sin dall’eternità ha scolpito il nostro volto nel suo cuore. Solo la sua voce ci ricorda che non siamo fotocopie, ma pezzi unici, che per ciascuno di noi c’è un progetto di vita e di felicità, al di là di ogni attesa ed evidenza. Chi ha ricevuto e scelto il dono del matrimonio sarà chiamato a mostrare al mondo che l’amore di Dio è fedele e fecondo. Chi ha risposto a tale amore con la consacrazione religiosa dovrà testimoniare che Dio esiste ed è tutto. Chi si ritrova o è rimasto solo potrà annunciare che i figli non sono mai abbandonati dal Padre, che li nutre e li cura con la sua provvidenza. Chi sta ancora cercando il suo posto e la sua missione nel mondo è chiamato a testimoniare che «chi cerca il Signore non manca di nulla» (Sal 33,11). Chi, infine, si trova ad avere solo macerie e ricordi tra le mani, ha la missione più difficile e delicata: raccontare al mondo la Croce del Signore, il mistero della vita che non è mai chiamata a finire, ma ad attraversare la morte per poi risorgere.

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