AVERE VITA

Venerdì – III settimana del Tempo di Pasqua
L’insegnamento di Gesù nella sinagoga di Cafàrnao è un discorso tosto, duro. Fatto peraltro con un linguaggio talmente potente e simbolico da lasciare interdetti persino uditori teologicamente ben preparati.  

I Giudei si misero a discutere aspramente fra loro:
«Come può costui darci la sua carne da mangiare?» (Gv 6,52)

Il Maestro non si stanca (mai) di insegnare e aggiunge al suo già lungo discorso una meravigliosa appendice, tutta imperniata sul realismo della metafora alimentare, chiave interpretativa e cifra del rapporto profondo che la sua persona invoca. Ma è proprio l’atto del mangiare — e del bere — a sollevare un grosso imbarazzo nella folla in ascolto. Forse perché rispetto al bisogno di mangiare regna in noi un’ambivalenza, tra l’assunzione di cibo intesa come «prendere» oppure «ricevere». 

«In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo 
e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita» (6,54)

Il nostro mangiare è spesso vorace, disordinato, solitario e compulsivo, perché in fondo non è altro che l’atto con cui ci illudiamo di poterci servire delle cose — così come degli altri — per alimentare quella sorgente di vita che crediamo di possedere. Non è il mangiare umile di chi riconosce di non essere artefice e sorgente di vita. È l’atto violento di chi pensa di essere sulla via giusta. E quindi si sente in diritto di contestare — anzi, tentare di arrestare — i cammini altri rispetto al proprio. Come Saulo.   

[...] E chiese  lettere per le sinagoghe di Damàsco, al fine di essere autorizzato 
a condurre in catene a Gerusalemme tutti quelli che avesse trovato, 
uomini e donne, appartenenti a questa Via (At 9,2)

Per tutta risposta, Dio — senza alcuna autorizzazione — si prende la libertà di contestare la via del futuro apostolo, regalandogli la più amara e dolce delle esperienze. Cadendo a terra e  dal trespolo delle proprie sicurezze, Paolo sperimenta il fallimento e si incammina verso la gioia di essere salvato.

Sàulo allora si alzò da terra, ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla (9,8)

Mentre Sàulo non vede più nulla, il Signore contempla già tutto il suo destino di amore e di servizio. E questo è il vangelo della Pasqua: i nostri azzeramenti non sono la necessità affinché Dio esibisca le sue qualità. Al contrario, mentre essi accadono Dio è finalmente libero di sostituire la pellicola del film in bianco e nero a cui ci sentiamo condannati con il capolavoro a colori che egli desidera — da sempre — per noi e per tutti. E così si risorge: quando si ricomincia a vedere la storia con la fiducia che la vita, in fondo, l’abbiamo sempre. Perché ci è donata come vero cibo. Come bevanda autentica. 

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