PERVERSIONE

Giovedì – IV settimana del Tempo di Quaresima
La parola di Dio racchiusa nelle Scritture di oggi ci mette a confronto con uno dei momenti più difficili della storia di Israele. Durante l’Esodo, proprio mentre Mosè si trova in una speciale relazione con il Signore sul monte dell’alleanza, il popolo si abbandona a quell’esperienza che — troppo facilmente — può inquinare le radici della nostra stessa vita: la perversione. 

Il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo,
 che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. 
Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato!» (Es 32,7-8) 

Il vitello d’oro non è solo l’ingenuo passo falso compiuto da un popolo provato dalle fatiche dell’Esodo e impreparato al compito della libertà. È, purtroppo, l’insidia più violenta e pericolosa che si può introdurre nel luogo profondo della nostra sensibilità e del nostro volere — il cuore — a causa di quella fatica che sperimentiamo quando siamo posti in serrato confronto con l’alterità: di Dio, della storia, degli altri.  

«Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostràti dinanzi,
gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele,
colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”» (32,8-9)

La perversione si medita e, poi, si attua quando non riusciamo a tollerare i poveri contorni che le cose hanno dinanzi a noi. E così avvertiamo un irrefrenabile bisogno di gonfiare la realtà finché non vi scorgiamo una certa glorificazione del nostro io capace di riscattare quella debole misura in cui, invece, si compie ogni autentica, umana e divina, maturazione. L’idolo è sempre una perversione anziché un’assunzione di quelle relazioni — con noi stessi, Dio, gli altri — che ci consentono di crescere e far crescere il nostro corpo spirituale. Il Signore Gesù, nel tentativo di giustificare la sua pretesa di una rapporto troppo audace e intimo con Dio, non ha timore di collocare la sua esistenza in una fitta trama di condivisioni: il Padre, Giovanni, Mosè. Fino a dichiarare che la verità è la testimonianza. Quella ricevuta e quella offerta. Non diverso è il valore che anche la nostra vita può assumere. Insieme agli altri. Per rifiutare risolutamente l’odiosa perversione della solitudine.

«Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera.
C’è un altro che dà testimonianza di me, 

e so che la testimonianza che egli dà di me è vera (Gv 5,31-32)

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