REGALE

Venerdì – IV settimana del Tempo Ordinario
La narrazione biblica ci presenta la figura del Re Davide in tutta la sua drammatica bellezza. Giovane pastorello sprezzante del pericolo, impulsivo e passionale uomo pronto a chiedere scusa, zelante servo di Dio e geniale re di Israele. Nei giorni scorsi lo abbiamo visto cedere alla tentazione di conteggiare i propri possedimenti, ma poi lucidissimo nell’indicare  le strade più nobili al figlio Salomone, quando ormai si trova sul letto di morte. La pagina del Siracide di oggi offre un magnifico apologo di Davide, tratteggiando la sua figura dal giorno in cui «fu scelto tra i figli d’Israele» (Sir 47,2). Egli «scherzò con leoni come con capretti» (47,3), «nella sua giovinezza» (47,4) sconfisse «la tracotanza di Golia» (47,5) perché «aveva invocato il Signore, l’Altissimo» (47,6). Ma soprattutto, «in ogni sua opera celebrò il Santo» (47,9) e «cantò inni a lui con tutto il suo cuore e amò colui che lo aveva creato» (47,10). Ma, soprattutto, permise a Dio di diventare la misura del suo cuore. 

Il Signore perdonò i suoi peccati, innalzò la sua potenza per sempre, 
gli concesse un’alleanza regale e un trono di gloria in Israele (47,13)

Di tutt’altra pasta era fatto il «re Erode», pavido gerarca capace di trasformare le «dolci melodie» (47,11) di un «banchetto per il suo compleanno» (Mc 6,21) in una macabra danza di morte. Il dettagliato racconto dell’evangelista Marco apre una triste finestra sull’animo di questo alto funzionario dell’impero romano. Lo dipinge indeciso e fragile, incapace di esprimere fino in fondo la propria libertà. Per paura del giudizio «dei commensali», il «triste» (6,26) re non riesce ad opporre un rifiuto né alla sua coscienza, né a chi gli sta facendo commettere un crimine. E la testa del profeta Giovanni diventa la tragica ultima portata di un assurdo banchetto di morte.

E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni.
La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio (6,27)


Dalle nostre scelte e dai nostri interiori equilibri non dipendono quasi mai decisioni così importanti come quelle che, nei tempi antichi, prendevano i re. Ciò nonostante siamo tutti responsabili di dover quotidianamente amministrare la nostra vita, attraverso piccoli e continui atti di libertà. Le paure non affrontate restano pericolosamente conficcate in noi, pronte a generare dolore e angoscia. Le passioni del cuore, portate alla luce — magari passando attraverso il fallimento provvisorio che è il peccato — possono invece diventare «melodie» e atti di amore, momenti significativi di «un’alleanza regale» che il Signore ci concede «per sempre» (Sir 47,13).

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