COME VAPORE

Mercoledì - VII settimana del Tempo Ordinario
Chissà perché anche nel cuore del discepolo — potenzialmente affrancato dalla fatica di misurare gli altri e i loro cammini — si forma con estrema facilità quel velenoso sguardo sul bene non fatto dalle sue mani? Chissà come mai esplode in tutti noi quella brutta volontà di boicottare chi fa il bene diversamente da come noi vogliamo, o vorremmo, fare? 

«Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome 
e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva» (Mc 9,38)

La forma delle parole con cui Giovanni si rivolge a Gesù tradisce, però, una certa ambiguità. Se da una lato sembra evidente la preoccupazione che il nome del Signore non venga manipolato o, peggio ancora, disonorato, dall’altro appare altrettanto chiaro che il motivo della condanna sia il fatto che non ci sia un vantaggio e un riconoscimento per il «noi» di cui ci si sente parte. In questa trappola, noi discepoli cadiamo spesso. Pensando di tutelare l’immagine di Dio, siamo dispiaciuti del fatto che molte cose buone non seguano la scia dei nostri passi. E ci adiriamo nel constatare che altri, altrove, riescono a fare — magari meglio — ciò che noi non riusciamo ancora a compiere, oppure — in fondo al cuore — temiamo di affrontare. Così ci rivolgiamo al Signore con imperativi solo apparenti, che dentro di noi risuonano già come la ricerca di una conferma che sentiamo di non avere. Piuttosto perentoria è la replica di Gesù a questo nostro modo di leggere ciò che è estraneo o semplicemente diverso da quello che sperimentiamo nel nostro cammino. 

«Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome 
e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9,39-40)

L’apostolo Giacomo, molto, molto tempo dopo questi fatti narrati dal vangelo, avrà modo di riflettere sulla pericolosità e sulla vacuità di questi sentimenti che nascono in noi ogni volta che, sentendoci vicini a Dio, crediamo di dover escludere anziché cercare in ogni modo di avere verso le cose e le persone uno sguardo ammirato e inclusivo. L’inconsistenza del vapore rende decisamente l’idea di quello che siamo o, almeno così spesso, pensiamo.

«Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare» (Gc 4,14)

Il vapore, certo, dura poco, mentre le nostre chiusure mentali rischiano di farci rimanere imbottigliati in un pregiudizio molto grave, che ci porta a credere che la nostra vita sia un bene di cui disporre a nostro piacimento o in base alle nostre programmazioni, e non  un dono da scoprire ogni giorno, un’avventura da ricominciare sempre da capo.

«Oggi o domani andremo nella tal città e vi passeremo un anno 
e faremo affari e guadagni» (4,13)

Molto più bello, molto più semplice è quello che ci conviene pensare e, quindi, anche dire. Poche parole, in cui si condensa un modo semplice, umile, grato di accogliere ogni cosa e affrontare il giorno che ci aspetta. Consapevoli che quanto sta per accedere — a noi e a tutti — non è altro che quanto ci è donato. Nulla di più. Nulla di meno.


«Se il Signore vorrà, vivremo e faremo questo o quello» (4,15)

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