NON APPARTENERSI

Lunedì – III settimana del Tempo Ordinario
Oggi le letture ci parlano attraverso la metafora del regno e, in particolare, del diverso modo con cui è possibile rapportarsi con la figura che sta al vertice di questa istituzione. Il re è colui che — nelle culture antiche come un vero e proprio dio o in sua rappresentanza — organizza, disciplina e plasma la vita del popolo, affinché sia pacifica, sicura e prosperosa. Il coraggioso e umile coinvolgimento di Davide nella vita di Israele lo ha accreditato agli occhi del popolo come persona meritevole di una sconfinata fiducia. 

In quei giorni, vennero tutte le tribù d’Israele d Davide a Ebron, e gli dissero:
«Ecco noi siamo tue ossa e tua carne» (2Sam 5,1)

Fuori da qualsiasi spirito di invidia o giudizio, il popolo riconosce in Davide i tratti limpidi e autentici di un pastore meritevole di fiducia. Per questo non esitano a confessare un’adesione a lui che assume le tonalità di una dichiarazione nuziale. Da parte loro gli anziani sembrano assolutamente concordi nella volontà di impartire sul giovane re il segno dell’unzione, che attesta l’origine celeste della sua qualità umana. 

Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re a Ebron, 
il re Davide concluse con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore
ed essi unsero Davide re d’Israele (5,3)

Molto diversa è la reazione degli scribi che decidono di scendere da Gerusalemme per una verifica personale delle parole autorevoli e dei gesti prodigiosi compiuti dal Rabbi di Nazaret. Di fronte all’evidenza di una capacità di liberare l’uomo dalle sue malattie — interiori ed esteriori — e di restituirlo alla comunione con gli altri, il giudizio delle autorità religiose e incredibilmente perentorio.

«Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni» (Mc 3,22)

Mentre le tribù di Israele non hanno esitato a riconoscere che in Davide il Signore Dio stava manifestando qualcosa di prezioso, da considerare inequivocabilmente come parte e significato della loro stessa vita, gli scribi si trovano costretti a inventare un’assurda ipotesi piuttosto che ammettere l’evidente presenza dello Spirito di Dio nella carne di Gesù. Scelgono di continuare ad appartenere a se stessi, piuttosto che decidere di aderire all’arrivo dell’uomo forte che è entrato dentro la casa dell’umanità per trasformarla in regno di Dio. Si tratta di un sentiero pericoloso, la cui destinazione può sfuggire persino alla presa d’amore di quel Dio che non vuole perdere nemmeno una delle sue creature. 

«In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, 
i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno;
ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo 

non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna» (1,28-29)

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