IL CORNO E LA LUCE

III Domenica del Tempo Ordinario – Anno A
Ecco, il Signore viene a prendere su di sé il peccato del mondo. E sceglie di farlo in modo sorprendente, bellissimo. Prende finalmente avvio la lettura del vangelo Matteo che, nelle domeniche del tempo ordinario, ci farà assaporare la buona notizia del «Dio con noi» (Mt 1,23). Una notizia forte come il suono di un corno, splendente come la luce di una fiaccola. 

Il giorno di Màdian
Non appena viene a sapere «che Giovanni era stato arrestato», Gesù si ritira «nella Galilea» (Mt 4,12), precisamente «nel territorio di Zàbulon e di Nèftali» (4,13), una regione di confine definita, con un certo spregio, «Galilea della genti» (4,15). Questa parte settentrionale del regno di Israele era diventata, dopo l’invasione degli Assiri e la duplice deportazione del popolo (732/721 a.C.), un crocevia di culture, tradizioni religiose, lingue e razze, un mondo complesso simile alle periferie delle nostre città, simile a quella periferia culturale che è il tempo in cui viviamo. Il Signore Gesù sceglie di iniziare proprio qui l’annuncio del Vangelo. Non solo perché è vicino a «Nàzaret» (4,13), dove egli è cresciuto, ma anche perché proprio qui le parole dei profeti trovano la migliore attuazione. L’evangelista Matteo infatti rilegge l’inizio della predicazione di Gesù attraverso un oracolo di Isaia, che annuncia il riscatto per ogni periferia e per ogni «terra tenebrosa» (Is 9,1) attraverso l’azione di Dio: «Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino, come nel giorno di Madian» (9,3). Il nome Madian indica i Madianiti, un popolo forte e temutissimo, al tempo in cui Israele giunge nella terra promessa, dopo l’Esodo dalla schiavitù dell’Egitto. Gli Israeliti erano talmente oppressi da questo avversario che dovevano vivere nelle grotte e nelle caverne (Gdc 6). Finalmente, attraverso il valoroso Gedeone, un giorno Israele trova il coraggio di ribellarsi. Ma l’esercito è, agli occhi di Dio, persino troppo numeroso. Di trentaduemila uomini il Signore ne fa rimanere solo trecento, perché il popolo non si vanti pensando di essere l’autore della vittoria (Gdc 7,2). Per giungere all’improbabile vittoria, Gedeone fa circondare l’accampamento di Madian, dando a ciascuno un corno e una fiaccola nascosta in una brocca vuota. Al suono dei corni, le brocche vengono rotte e, quando risplende improvvisamente la luce delle fiaccole, i Madianiti vanno in panico, cominciando «a correre, a gridare, a fuggire» (7,21). Nel caos che si viene a creare, «il Signore fece volgere la spada di ciascuno contro il suo compagno, per tutto l’accampamento» (7,22). Israele riesce così a sconfiggere il nemico senza muovere neppure un dito.

Il corno
Gesù prende in prestito questo episodio e lo applica a sé, a quanto egli sta per compiere a favore di «quelli che abitavano in regione e ombra di morte» (Mt 4,16). La sua voce, infatti, è potente e squillante, come lo shofar ebraico che annuncia la festa di Dio e dell’uomo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (4,17). Queste parole sono come un grido capace di mettere in fuga i nemici che stanno anzitutto dentro di noi. Noi, sempre troppo concentrati su ciò che siamo e sembriamo, su ciò che facciamo e produciamo, sui risultati raggiunti e i traguardi ancora da inseguire. Noi, semplicemente troppo autocentrati per riuscire a cambiare sguardo sulle cose, per accorgerci che, qualcosa – anzi Qualcuno – prende continuamente iniziativa nei nostri confronti. Noi, troppo indaffarati a costruire la prossima dose di pseudofelicità, per notare che — nel frattempo — Dio si  messo a camminare accanto a noi, mettendoci il suo regno a portata di mano. Il suono del vangelo manda in tilt la nostra autosufficienza, perché ci annuncia che non qualcosa che noi abbiamo fatto o faremo può finalmente capovolgere la nostra vita. Ma qualcosa che Dio ha fatto e farà. Qualcosa di cui possiamo accorgerci, se accettiamo di fermare i passi e voltare lo sguardo.

La luce

Il corno, da solo, non basta. Servono anche la brocca e la fiaccola per far fuggire via l’oscurità della notte. Sembrano averlo capito bene i primi discepoli, chiamati a due a due — chiamati fratelli — che lasciarono «le reti» (4,20), «la barca e il loro padre e lo seguirono» (4,22). Erano tutti intenti nelle cose di sempre, nelle faccende quotidiane, quando improvvisamente la luce del vangelo annuncia loro che il senso della loro vita poteva essere ben più grande: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini» (4,19). Come le brocche che nascondevano le fiaccole attorno all’accampamento dei Madianiti, anch’essi si lasciano prendere, spezzare e la luce di una vita nuova appare in loro. La parola del Signore è una forza capace di rompere la brocca che tiene nascosta la vera luce presente in noi. Questo chiarore è indispensabile per affrontare l’avventura della vita. Senza di esso facciamo fatica a ricordare che Dio è nostro Padre, a vedere colui che ci sta accanto come un fratello, a essere in pace con il passato, a non temere il presente e il futuro. Quando invece il suo splendore dà pace al cuore e orientamento al cammino, ci accorgiamo che la vita non è un incubo ma un sogno, che il nostro destino non si chiama solitudine, ma possibile «unione di pensiero e di sentire» (1Cor 1,10) con gli altri, nostri fratelli e sorelle in umanità. Di questo sogno tutti siamo partecipi, tutti capaci. È sufficiente — come fece Israele contro Madian — ridurre l’esercito delle risposte con cui sempre aggrediamo la realtà, anziché ascoltarla. E poi avere il coraggio di rinunciare ad alcune battaglie, per scoprire quanto e come Dio sia un prode valoroso che combatte al nostro fianco. Un amico fedele, che è, che resta sempre «vicino» alla nostra umanità.

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