DISTRIBUIRE

Martedì – III settimana del Tempo Ordinario
Dopo averci ammonito sul modo con cui possiamo essere contro il Signore Gesù e la sua opera di misericordia (vangelo di ieri), il racconto di Marco ci mostra come possiamo essere con lui, stabilendo un legame straordinario, un vincolo più forte e stringente di quello di sangue. A quanti gli segnalano la presenza di sua madre e dei suoi fratelli fuori dalla casa dove sta parlando ai discepoli, il Maestro risponde con un’inattesa domanda. 

«Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?» (Mc 3,33)

La familiarità con Dio, con i percorsi e le appartenenze che ci riportano continuamente a lui, possono indurci ad avere una troppo scontata risposta a questo decisivo interrogativo. Noi riteniamo di essere in rapporto con qualcuno quando esiste un nome o un riconoscimento che lo attesta. Si tratta di un primo livello di riconoscimento di relazione molto naturale, in un certo modo necessario. Purtroppo, però, spesso siamo tentati di rimanere a questo livello senza porci più domande e senza verificare la qualità dei rapporti che viviamo. Per questo il Signore Gesù precisa in cosa consiste essere intimi e familiari con lui. 

Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! 
Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre» (3,34-35)

In realtà non ci viene affatto spiegato in che modo i discepoli che lo stanno ascoltando siano coerenti esecutori dei comandi divini. Anzi, sarà sufficiente il resto del vangelo a mostrarci come i più intimi amici del Maestro — i Dodici — non si mostreranno certo all’altezza di questa aspettativa. Eppure il Signore Gesù non esita a definire coloro che lo cingono con desiderio di ascolto come la sua più prossima carne perché — come lui — pronta e disposta a tradurre in pratica il desiderio di Dio. Da ciò conseguono almeno due cose parecchio interessanti. La prima è che ascoltare il Verbo di Dio è, in qualche modo, aver già cominciato a fare anche la sua volontà (e scusate se è poco). La seconda è che, forse, dovremmo imparare che Dio non vuole da noi le cose che non sappiamo fare, ma solo che condividiamo ciò che siamo e abbiamo. Con la stessa stupenda libertà di Davide, ritratto nella prima lettura gioioso di poter camminare alla presenza del Signore e — di conseguenza — felice di poter distribuire al popolo i doni ricevuti. Con gioia. 

Quando ebbe finito di offrire gli olocausti e i sacrifici di comunione,
Davide benedisse il popolo nel nome del Signore degli eserciti
e distribuì a tutto il popolo, a tutta la moltitudine d’Israele, uomini e donne,
una focaccia di pane per ognuno, 
una porzione di carne arrostita e una schiacciata di uva passa» (2Sam 6,18-19)

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