ATTESA FECONDA

Venerdì – III settimana del Tempo Ordinario
Per spiegare la paradossale logica del regno di Dio, che si propone senza imporsi, che cambia tutto senza annullare la libertà della storia, il Signore Gesù guarda in basso, per terra. Continuando il discorso in parabole, le immagini più calzanti sembrano provenire proprio dalla natura che, silenziosamente, manifesta una tenace capacità di crescere, modificarsi, giungere a pienezza, suscitando forse un po’ di invidia in noi chiamati, in fondo, a dover declinare questi medesimi verbi.

«Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 
dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. 
Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente 
prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga» (Mc 4,26-28) 

Indugiando in una meticolosa descrizione dei passaggi con cui un seme si trasforma in una pianta, Gesù focalizza l’attenzione su un avverbio («spontaneamente») che scardina ogni moralismo e distrugge ogni volontarismo. Usa un termine che nella lingua greca risuona ancora più interessante e misterioso: «automaticamente». Nessuno è capace di osservare e registrare i movimenti della natura, impercettibili alla nostra macchina da presa. Eppure essa si muove, si gonfia e si affloscia, vive incessantemente ritmi circolari di morte e rinascita. Automaticamente, appunto, trovando in se stessa la forza di rigenerarsi e mutare. Così è anche la vita eterna in noi: una piccolo seme destinato a una grandiosa fioritura. Il suo sviluppo non sta nelle nostre mani, neppure nelle nostre misurazioni. 

«È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, 
è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, 
cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi 
che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra» (4,31-32)

Eppure l’attesa fiduciosa — e niente affatto ansiosa — a cui siamo invitati non implica una passività oziosa o, peggio, ancora indolente. Attendere con fiducia non significa astrarsi o distrarsi dalla realtà in gestazione di cui dobbiamo essere vigili e premurosi custodi. Il seminatore della parabola, per quanto confidente nella capacità del seme e nell’ospitalità del terreno, rimane in attesa di compiere prontamente la sua parte. La sua è un’attesa feconda. 

«E quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce,
perché è arrivata la mietitura» (4,29)

Sterile, anzi adultera, è invece l’attesa del re Davide, che se ne sta di pomeriggio a dormire proprio nel tempo in cui i re erano «soliti andare in guerra». Pigramente disteso sul proprio letto smette di attendere ai frutti della propria terra, e cade nella tentazione di suscitarli e cercarli altrove. Disonorando il regno di Dio e la sua regalità.

«Un tardo pomeriggio Davide, alzatosi dal letto, si mise a passeggiare sulla terrazza della reggia. 
Dalla terrazza vide una donna che faceva il bagno: la donna era molto bella d’aspetto 

[...] Allora Davide mandò messaggeri a prenderla (2Sam 11,2.4)

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