ANCORA UN PO'

Venerdì – I settimana di Avvento
La speranza che brucia nel cuore del profeta Isaia è talmente attuale che potremmo farla diventare preghiera e auspicio anche noi, senza alcun ritocco, sebbene oltre duemila anni nel frattempo siano passati. Ieri come oggi, la storia pare essere in mano agli arroganti e ai potenti, a coloro che senza troppi scrupoli vivono alle spalle degli ultimi. Come non sperare che Dio possa e voglia rovesciare queste sorti?

«Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo d’Israele.
Perché il tiranno non sarà più, sparirà l’arrogante, saranno eliminati quanti tramano iniquità,
quanti con la parola rendono colpevoli gli altri, quanti alla porta tendono tranelli al giudice
e rovinano il giusto per un nulla» (Is 29,19-21) 

Tuttavia il sogno di Isaia contiene una sgradevole precisazione di tempo, un avverbio che ci lascia con un po’ di amaro in bocca. Il Signore ha bisogno di attendere un po’ di tempo prima di far grazia al suo popolo. I suoi progetti sono meravigliosi, assolutamente desiderabili, ma non si compiono subito. 

«Certo, ancora un po’ e il Libano si cambierà in un frutteto 
e il frutteto sarà considerato una selva» (29,17)

Immersi in questo brodo culturale in cui ogni cosa deve essere puntuale e perfetta, avvertiamo una certa fatica a comprendere per quale motivo il Signore non debba intervenire subito ed efficacemente là dove c’è un’ingiustizia, un torto subito, una debolezza minacciata. Fatichiamo a comprendere come i tempi di attesa — quasi sempre da noi vissuti come momenti subiti e sterili — possano avere a che fare con Dio, con la sua forza e con la sua sapienza. È sufficiente il vangelo a proporre ai nostri occhi una pista di conversione. Sentendo gridare due ciechi: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!» (Mt 9,27), il Signore Gesù non interviene subito. Il Signore attende «ancora un po’» prima di usare misericordia perché ha bisogno che il desiderio di guarigione divenga solido ed esplicito. 

Entrato in casa, i ciechi gli si avvicinarono e Gesù disse loro:
«Credete che io possa fare questo?». Gli risposero: «Sì, o Signore!» (Mt 9,28)

Così come non può esserci guarigione imposta, allo stesso modo non può esistere alcuna trasformazione nella nostra umanità che non sia profondamente desiderata. Se vogliamo a tornare a vedere la vita nella sua verità, se siamo stufi di tirare a campare, di amare e servire sempre col freno a mano, dobbiamo anzitutto riconoscere la nostra cecità, e poi pronunciare il nome di colui che può far risplendere la luce nelle tenebre.

Allora toccò loro gli occhi e disse: «Avvenga per voi secondo la vostra fede».
E si aprirono loro gli occhi (9,29)  

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