SEPARARSI

Lunedì – XXXIII settimana del Tempo Ordinario
A volta dimentichiamo quanto sia necessario imparare a introdurre nella vita cesure e separazioni, affinché l’albero della vita — di ogni vita — porti frutti abbondanti. Da sempre Dio crea separando, introducendo differenze e distanze che servono a mantenere in santa armonia lo spettacolo della creazione, il mistero di ogni esistenza. Separarsi non significa prendere le distanze, per paura o per inimicizia nei confronti dell’altro, ma accettare le diversità che custodiscono l’unicità e la fraternità di tutte le cose. Assumere le differenze iscritte nella realtà e nei processi storici ci espone però a una solitudine che non sempre siamo in grado di sopportare. 

In quei giorni uscirono da Israele uomini scellerati, che persuasero molti dicendo:
«Andiamo e facciamo alleanza con le nazioni che ci stanno attorno, perché, da quando ci siamo separati da loro, ci sono capitati molti mali». Parve buono ai loro occhi questo ragionamento (1Mac 1,11-12)

Nell’epoca ellenistica, quando i Seleucidi regnavano sulla parte orientale dei domini di Alessandro Magno, molto ebrei patirono la distanza che si era introdotta tra i loro costumi e le usanze, sociali e religiose, che il mondo greco diffondeva. Anziché rimanere fedeli a se stessi e alle proprie tradizioni, decisero di conformarsi al pensiero comune. Invece che accettare di vivere una certa separazione rispetto ai dominatori stranieri, scelsero di separarsi dalla propria radice e dalla propria storia. E ciò non fu bene agli occhi di Dio.

Costruirono un ginnasio a Gerusalemme secondo le usanze delle nazioni, 
cancellarono i segni della circoncisione e si allontanarono dalla santa alleanza.
Si unirono alle nazioni e si vendettero per fare il male (1,14-15)

Tutto diverso il modo con cui il povero cieco del vangelo interpreta la sua solitudine. Separandosi dalla spirito di rassegnazione — che ogni miseria induce e alimenta — non ha alcuna esitazione a gridare forte quando sente il passaggio di Gesù accanto a lui. Quando poi il bon ton di quanti facevano la scorta al Maestro tenta di imbavagliare la sua veemente preghiera, il cieco si separa anche da qualsiasi formalismo e galateo, facendo risuonare ancora più forte il suo grido. 

Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse;
ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!» (Lc 18,39)

L’audacia per vivere questa separazione da solitudine e consensi sembra derivare al cieco unicamente dalla sua situazione di povertà, dal suo essere una cosa sola con il destino di non vedere e di essere costretto a chiedere per poter vivere. Non essere separato da se stesso diventa per lui — e per ciascuno di noi — l’umile forza per essere unici e comparire davanti al volto di Dio. Che sempre ridona luce e compie meraviglie nella nostra povertà.

 Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo glorificando Dio.
E tutto il popolo, vedendo, diede lode a Dio (Lc 18,43)

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