NON SI IMPROVVISA

Mercoledì - XXXI settimana del Tempo Ordinario
La riflessione dell’apostolo diventa oggi un favoloso inno alla libertà interiore, quella condizione del cuore a cui tutti aspiriamo, ma che solo a tratti ci capita di assaporare, per poi poterla il più delle volte solo ricordare e cercare di nuovo, dopo averla perduta. Curiosamente, nella stagione degli innumerevoli diritti e della grandi libertà, scopriamo di avere proprio dentro di noi quei lacci che ci impediscono di compiere i passi più desiderati e desiderabili. La proposta di san Paolo è un fascio di luce nella selva delle nostre preoccupazioni.

«Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole;
perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge» (Rm 13,8)

Credere che non ci sia alcun debito da estinguere — né col passato, né col presente — se non uno soltanto, è un’ipotesi che fa impazzire di gioia. Prima ancora di averla capita fino in fondo. Le parole di Gesù, nel vangelo di oggi, ci aiutano a capire come si possa (ri)partire nella vita mettendo al centro, come permanente centro di gravità, il criterio dell’amore verso gli altri.   

«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, 
i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26)

Il Signore, evidentemente, non ci sta proponendo di essere così liberi (dentro) da trascurare (fuori) la cura di quelle relazioni che hanno generato e sostengono la nostra vita. I legami familiari e amicali non vanno sterminati affinché Dio possa avere pieno possesso della nostra disponibilità. Vanno più realisticamente relativizzati, riconoscendo che molto spesso siamo più affezionati al nostro modo di amare — possedere — che alle persone a cui diciamo di voler bene. Anzi, è sufficiente preferire la relazione con Dio a ogni altra relazione la vita ci abbia donato o negato. Perché l’amore resta al centro della nostra libertà unicamente quando sa distinguere bene tra Creatore e creature, tra le radici e i tralci. 

«Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (14,33)

Come se non bastasse, Gesù precisa pure un’altra condizione, un vero e proprio virus sovversivo per la nostra cultura, dove tutti si sentono autentici quando sono spontanei e non costretti. Le due parabole della torre e della guerra sembrano dire che la libertà interiore di amare non può in alcun modo essere un’improvvisazione. Solo una scelta ben ponderata e maturata con responsabilità. Nessuno romanticismo, poca poesia. Ma tanta, tanta concretezza. Proprio come Dio è solito fare. Amandoci e preferendoci in ogni istante.  

«Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa 
e a vedere se ha i mezzi per portarle a termine? [...]
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila?» (14,28.31)

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