NON CONTAMINARSI

Lunedì – XXXIV settimana del Tempo Ordinario
Essere assediati da nemici, portati e deportati in luoghi dove mai ci aspettavamo di poter andare non è necessariamente una sventura. Anzi — sembra dire il libro del profeta Daniele — può essere la più limpida occasione per imparare la perseveranza e la fedeltà. Daniele e i suoi compagni, esuli in Babilonia alla corte di Nabucodonosor, si ritrovano a far parte di una selezionata cerchia di persone che ogni buon governatore vorrebbe attorno a sé.  

Il re ordinò ad Asfenàz, capo dei suoi funzionari di corte, di condurgli giovani israeliti 
di stirpe regale o di famiglia nobile, senza difetti, di bell’aspetto, dotati di ogni sapienza, 
istruiti, intelligenti e tali da poter stare nella reggia, 
e di insegnare loro la scrittura e la lingua dei Caldèi (Dn 1,3-4)

Quando ci troviamo — talora improvvisamente — in contesti fascinosi e prestigiosi, nei quali ci sentiamo bene, realizzati e contenti per il solo fatto di esserci, la tentazione più immediata è quella di assimilare nuovi linguaggi e contenuti, per non risultare troppo estranei o provinciali. E di farlo in fretta, senza eccessivi pensieri o valutazioni. È il rischio della veloce contaminazione, operazione che, prima di qualsiasi giudizio morale, ci espone al rischio di considerale irrilevante tutto ciò che ha sostenuto e costruito i sentieri della nostra vita. Non è la scelta che Daniele e i suoi compagni scelgono di abbracciate. 

Ma Daniele  decise in cuor suo di non contaminarsi con le vivande del re 
e con il vino dei suoi banchetti e chiese al capo dei funzionari di non obbligarlo a contaminarsi (1,8)

Non è nemmeno la decisione che la povera vedova prende, pur potendo nella sua povertà giocare — senza sensi di colpa — un po’ al ribasso. Il Signore Gesù si stupisce di fronte al gesto di una vedova, che — come lui — sceglie di non tenere nulla per sé: offre entrambe le monete a Dio in segno di libera e completa restituizione e di affidamento della propria vita. 

(Gesù) vide anche una vevova povera, che vi gettava due monetine,
e disse: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti.
Tutti costoro, infatti, hanno gettato come oferta parte del loro superfluo.
Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere (Lc 21,1-4)


Non è infatti la nostra miseria a separarci da una maggior comunione con Dio e con il prossimo. Anzi, proprio la nostra povertà, di cui possiamo fare limpida e completa consegna (anziché conservarne qualche briciola in tasca) ci sottrae dal rischio di far diventare superfluo il dono parziale di noi stessi. La vita è tutta donata e ricevuta da Dio: per questo possiamo restituirla interamente. Senza eroismi né trionfalismi. Senza contaminarci con cibi meno raffinati, meno nutrienti del pane di Dio. Che è la sua volontà.

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