ARDERE

Giovedì – XXXIII settimana del Tempo Ordinario
Le lacrime, quando sono libere di scendere dagli occhi, non possono mai essere giudicate inappropriate o futili. La capacità di piangere attesta una modalità molto naturale di saper entrare in relazione con se stessi e con il mondo, anche se — evidentemente — si tratta di una relazione sofferta e sofferente. Le lacrime esprimono il sentirsi inadeguati alla realtà e il tentativo di fare qualcosa a partire da quello che si è. Sono un linguaggio potente per dire l’indicibile, per essere se stessi, senza doversi né capire, né spiegare. Piangere è, spesso, quanto ci accade quando la realtà smette di essere il luogo dove si inverano i nostri sogni, ma diventa un libro chiuso e sigillato davanti al quale purtroppo essi si infrangono. Anche al Verbo di Dio incarnato non è stata risparmiata questa umana e dolorosa esperienza. Il vangelo la documenta alle vigilia della sua passione, quando le lacrime di Gesù diventano sofferta rugiada vicino a Gerusalemme, città simbolo del nostro destino, ma pure della nostra ostinata chiusura all’incontro con Dio e alla visita della sua misericordia.  

In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di esse dicendo:
«Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace!» (Lc 19,41-42)

Le lacrime del Signore Gesù non nascono solo dal dolore per il nostro peccato o dal rammarico per la nostra indifferenza, ma anche dalla compassione per la nostra perduta libertà che, talora, non è più nemmeno capace di essere cosciente e bisognosa di salvezza. Sono la reazione incontrollata e incontrollabile che il nostro sentimento manifesta di fronte a una realtà ritenuta inaccettabile, troppo falsa e offensiva ai nostri occhi. È forse questa la parola di Dio contenuta nella prima lettura, anch’essa inaccettabile per la misura di violenza in essa narrata e celebrata. 

Ciò vedendo Mattatìa arse di zelo; fremettero le sue viscere e fu preso da una giusta collera.
Fattosi avanti di corsa, lo uccise sull’altare; uccise nel medesimo tempo il messaggero del re,
che costringeva a sacrificare, e distrusse l’altare (1Mac 2,24-25)


Non possiamo certo accogliere come rivelazione divina la legittimazione della violenza, dopo che il Signore Gesù ha chiarito una volta per tutte che non esistono mai sante ragioni per rispondere al male con altro male. Desiderare invece un po’ di quello zelo che ci può trasformare in persone ardenti, capaci di assumere decisioni forti — magari in contro tendenza rispetto all’opinione comune — questo sì che abbiamo tutto il diritto di ascoltare come parola di Dio. Anzi, il dovere. 

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