SERVI

Lunedì – XXVIII settimana del Tempo Ordinario

Ci sono tanti modi di iniziare il giorno, di varcare la soglia del tempo che ci viene donato. Le Scritture oggi ne illustrano due, mettendoli a serrato confronto. Esiste una postura di fronte alla vita che il Maestro deplora apertamente. Si tratta di un modo di fare largamente praticato, tipico di ogni «generazione», che si concretizza nella bramosia di novità e conferme, segni ritenuti indispensabili per convertire la vita verso il suo meglio. 

«Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, 
ma non le sarà dato alcun segno se non il segno di Giona» (Lc 11,29)

Si tratta di una miopia dello sguardo, quasi una cecità che ci porta a vedere nella realtà solo quello che ci aspettiamo di vedere e a considerare irrilevante quello che c’è e potrebbe essere occasione di crescita e di salvezza. Per questo motivo, anche noi spesso ci accalchiamo attorno al Signore Gesù senza permettere alla sua semplicità di sguardo di diventare la nostra, senza entrare in una reale comunione con la sua logica di valorizzazione e di trasformazione del reale. Piuttosto dura la reazione del Signore davanti a questo modo approssimativo e indolente di vedere — sempre — le cose. 

«Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Ninive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno,
perché essi alla predicazione di Giona si convertirono» (11,32)

Per dire come stanno le cose, Gesù si paragona al profeta svogliato e codardo, che tuttavia riesce a convertire un’intera città pagana, con la sua predicazione asciutta e disincantata. Per assicurarci che non sono i fuochi d’artificio a dare una svolta alla nostra vita, già sufficientemente piena di «grazia» (Rm 1,5), da saper riconoscere come una vera e propria chiamata a ringraziare per (tornare a) vivere. È il segreto intuito da Paolo, che rappresenta l’altro modo possibile di porsi di fronte alla fatica del vivere. 

«Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, 
scelto per annunciare il vangelo di Dio» (Rm 1,1)
Quando Paolo si è scoperto «amato da Dio», ha compreso che la sua vita poteva diventare un servizio, ha scoperto che il suo nome era quello di «servo». Qualcuno non solo obbligato a fare delle cose per il suo padrone, ma soprattutto una persona utile, indispensabile a certi scopi. Le cose che il servo è chiamato a fare sono quelle cose il padrone non vuole — e non deve — fare. Ecco un altro modo per iniziare la giornata, per imbeccare il tempo affamato della nostra presenza: ricordare che la nostra vita — con i suoi sorrisi e i suoi macelli — può raccontare il vangelo, manifestare la gloria di Dio davanti a tutti coloro che la cercano e la attendono. 

«[...] abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, 
per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome» (1,5-6)

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