RAGIONAMENTI VANI

Martedì – XXVIII settimana del Tempo Ordinario

Il maestoso avvio della lettera ai Romani prosegue oggi introducendo il tema della giustificazione per mezzo della fede. Argomento centrale della dottrina cristiana, oggetto di contesa e di divisione tra i battezzati lungo i secoli, la fede ci espone a un grave rischio. La creazione e le opere che Dio pone davanti agli occhi ogni giorno, per farci intuire la sua presenza e la sua potenza, possono essere da noi soffocate allo scopo di rimanere conniventi con logiche di ingiustizia a cui ci siamo affezionati. Questo atteggiamento — dice san Paolo — è inescusabile.

«Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa perché, pur avendo conosciuto Dio,
non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti 
e la loro mente ottusa si è ottenebrata» (Rm 1,20-21)

Ci sono ragionamenti vani, cioè vuoti all’interno, che non servono a nulla, se non a confondere lo sguardo che abbiamo sulla realtà, fino a farci sprofondare in una fitta nebbia. Sono pensieri che sembrano ispirati a una certa sapienza — ambizione così alla portata di tutti nel nostro mondo enciclopedico — ma in realtà contengono una grande menzogna, perché nascono dal presupposto falso che Dio non c’è, o anche se ci fosse non la sa troppo lunga. Almeno non più di noi. Questi pensieri si nascondono anche dentro gli animi religiosi, come Gesù ha occasione di mostrare, rispondendo al fariseo che si stupisce della sua libertà interiore di fronte alle prescrizioni della Legge. 

«Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, 
ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. 
Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno?» (Lc 11,39)

Il rimprovero di ipocrisia è un duro colpo per il nostro orgoglio di essere, e non solo apparire, belle persone. Il Signore Gesù attacca radicalmente e risolutamente la sensazione — e la presunzione — di potersi accontentare di una buona facciata da esibire, senza fare i conti con le tenebre e il male latente che portiamo dentro il cuore. Si tratta di un pensiero velenoso che tutti coltiviamo, quello che ci spinge a investire tante energie per ordinare, pulire e mostrare l’aspetto più esteriore di quello che, giorno per giorno, ci ritroviamo a essere. A partire da un brutto malinteso: credere che sul palcoscenico della vita occorra sempre fare bella figura, per sedurre e conquistare lo sguardo degli altri. E invece esiste — sempre — una via migliore per essere graditi a Dio e, in fondo, contenti di quello che siamo. Non desiderare di essere incantevoli, ma condividere con gli altri quello che siamo. Il bello, e anche il brutto, che è dentro di noi. Allora sì che siamo luminosi. 

«Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro» (11,41)

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