CHI BUSSA?

Giovedì – XXVII settimana del Tempo Ordinario

Sarà anche un gesto profondo e bello, però — ammettiamolo — pregare è difficile. Mancano scuole e maestri. Ci servirebbe più tempo e silenzio. E poi Dio sembra spesso tacere o — peggio ancora — ignorare le nostre legittime richieste. È per questo che, nel tentativo di continuare a pregare e a seguire la sua volontà, arriva il momento in cui dentro di noi si scatenano i peggiori sospetti, le paure più inconfessate.

«È inutile servire Dio: che vantaggio abbiamo ricevuto dall’aver osservato i suoi comandamenti
o dall’aver camminato in lutto davanti al Signore degli eserciti?
Dobbiamo invece proclamare beati i superbi che, pur facendo il male, si moltiplicano 
e, pur provocando Dio, restano impuniti» (Ml 3,14-15)

Quasi anticipando questa crisi profonda, il Maestro Gesù dopo aver insegnato il Padre nostro, allega spontaneamente ulteriori istruzioni per l’uso della preghiera, raccontando la parabola dell’uomo che di notte riceve la visita di un amico così insistente da riuscire a strappargli un favore. 

«Vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, 
almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono» (Lc 11,8)

L’insegnamento che il Signore trae da questo racconto è piuttosto semplice. La preghiera deve imparare ad essere sfacciata, insistente, quasi insensibile alle esigenze dell’altro, «invadente», secondo una felice traduzione del termine greco (anaideia). Infatti nella preghiera non è in gioco semplicemente qualche parola da pronunciare e qualche dono da ricevere, ma il nostro diventare figli davanti al Padre. Molta apparente inefficacia della nostra preghiera non dipende tanto dalla disattenzione di Dio nei nostri confronti, quanto dalla minuscola fame che accompagna le nostre parole. Siamo poco sfacciati di fronte a Dio perché, in realtà, molti nostri atti di culto e di devozione sono solo un tentativo di preservarci dal fuoco di una relazione d’amore che vuole coinvolgerci pienamente, farci ardere senza consumarci. 

«Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto.
Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto» (11,9-10)

La cosa più triste è che non abbiamo nemmeno il coraggio di esprimere il nostro disappunto davanti a queste parole di speranza di cui vediamo il più delle volte pesanti smentite nella nostra vita. Non abbiamo il coraggio di muovere critiche al modo con cui Dio (non) si dimostra nostro alleato. Invece Dio sembra non avere alcun timore di accusare la nostra inutile timidezza davanti a lui, denunciando un certo modo ipocrita di essere figli davanti a lui. 

«Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? 
O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?» (11,11-12)

Ciò che può rilanciare il gesto della nostra preghiera non è lo sforzo di mostrarci a Dio in una luce migliore. Molto meglio permettere alla nostra povertà quotidiana di bussare sul serio alle porte del cielo, di diventare un grido che va in cerca di regali grandi e non delle solite briciole che ci lasciano sempre così affamati.

«Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli,
quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!» (11,13)

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