ALTRO VANTO

S. Francesco, patrono d’Italia

La figura di Francesco d’Assisi è certamente un vanto per il nostro paese che lo venera quale protettore e intercessore presso Dio. Innumerevoli sono gli aspetti amati e amabili della sua avventura umana: la semplicità, l’essenzialità di vita, la vicinanza agli emarginati e ai poveri, la compassione per i peccatori, la sua collocazione dimessa all’interno della chiesa, la sua letizia genuina e convincente. A partire da una giovinezza vivace e ricca di sogni, l’agiato mercante ha permesso allo Spirito del Signore di capovolgere i suoi orizzonti, diventando uno dei più appassionati discepoli di Cristo e della forza liberante del suo vangelo che la storia abbia conosciuto. Una «viva immagine del Cristo» (colletta), un autentico «sole» per il mondo, come il poeta di lui scrisse. 

Ma la celebrazione del suo ricordo non può confinarsi nell’angusto spazio di un elogio edificante. Lo stesso Francesco reagirebbe forse con le stesse parole di san Paolo: «Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 6,14). Il mondo che per il poverello di Assisi è stato crocifisso è quel pezzo di società medievale — così lontana e così vicina alla nostra — in cui egli ha saputo incarnare con fantasia e determinazione tutta la povertà di Spirito indicata dal vangelo di Cristo, fino a «essere nuova creatura» (6,15). Un simile cammino non è stato per Francesco un’istantanea semplificazione del vivere, quasi una ritrovata fanciullezza d’animo, come alcune sue leziose raffigurazioni lasciano intendere. Come ogni altro uomo che si misura seriamente con «l’ardente e dolce forza» della grazia di Dio, Francesco di Bernardone ha dovuto perdere tante battaglie con se stesso prima di poter accogliere il Signore Gesù come unico padrone da servire e da cui imparare il segreto di una vita povera perché già colmata nel suo più naturale bisogno, quello di essere e sentirsi gratuitamente amati: «Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrò rivelarlo» (Mt 11,27).

Nessuno può accettare di vivere la logica radicale delle beatitudini senza aver prima compreso la parola della Croce come assoluta ed estrema manifestazione dell’amore di Dio per ogni sua creatura. D’altra parte non si può fare esperienza di tale amore se non attraverso una quotidiana e incessante accoglienza dei limiti propri e altrui, che lascia sul nostro corpo la firma di un’alleanza vissuta, fino a poter dire senza alcun vanto: «Io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo» (Gal 6,17). Francesco ha sperimentato che vivere così, assumendo la realtà come il solo luogo in cui poter essere felici e gli altri come unica occasione per amare ed essere amati, trasforma il peso dei giorni in una sostenibile leggerezza. Con la delicata e incrollabile forza dei miti di cuore, il Poverello ha acceso nel mondo e consegnato all’umanità la nostalgia per un’esistenza ispirata alla libertà e alla gioia del vangelo, poiché — come scrive un frate minore del nostro tempo — “il fuoco non è spento; già si riprende. Il vangelo di Gesù non ha perduto il suo mordente, e l’avventura del piccolo uomo di Assisi ci dimostra ancora oggi ciò che avviene a chi si lascia prendere da essa” (Thadde Matura, Il progetto evangelico di Francesco d’Assisi oggi).

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