SCALTREZZA

XXV Domenica del Tempo Ordinario – Anno C

La difficile — quasi assurda — parabola dell’amministratore infedele — al suo padrone ma non certo a se stesso — nasconde un insegnamento per ogni discepolo di Cristo, sempre troppo abituato a non poter introdurre una certa scaltrezza nella gestione delle cose spirituali, a registrare suo malgrado un fatale distacco rispetto ai «figli di questo mondo». Proprio lui, chiamato da Dio a essere un testimone di libertà in mezzo agli uomini, un vero e proprio «figlio della luce». 

Ingiustizia
Di sicuro la parabola di Gesù non aveva alcuna intenzione di tessere l’elogio della disonestà, quasi sempre anticamera di ingiustizie e soprusi verso chi è più debole. Su questo punto la parola del Primo Testamento manifesta una sostanziale unanimità di giudizio. Dio non può mai essere a fianco del suo popolo — e in particolare di chi al suo interno ricopre un ruolo di governo e di amministrazione — quando esso pratica una gestione dei suoi beni insensibile alle esigenze dei poveri. La minaccia del profeta Amos risuona ancora oggi molto  perentoria: «Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese, voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano?» (Am 8,4-5). È una lucida follia la tentazione di credere che la nostra vita possa, in qualche modo o in qualche misura, dipendere dai beni che ci capita di avere tra le mani, o dai soldi che possiamo custodire nel portafoglio. Eppure è frequentissima. Anzi, è limpidamente l’idolo davanti a cui ogni ginocchio si piega nella nostra società evoluta e ingenua. Per il quale si mettono all’ultimo posto le cose più sacre e importanti della vita e i piedi in testa a chi non ha voce o diritto di rivalsa. Opere ingiuste, che il Signore non può in alcun modo mettere nel dimenticatoio: «Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: “Certo non dimenticherò mai tutte le loro opere”» (8,7).

False ricchezze
Come può il Signore prendere come esempio un argomento così delicato, davanti a cui non esiste alcun acciaio inossidabile tra i figli dell’uomo? Un tema che offre persino a Paolo l’occasione di rivolgere limpide esortazioni: «Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese» (1Tm 2,8). Anzitutto perché il centro focale della parabola non è la figura — per nulla inedita — dello scaltro avventuriero, mai sazio e imbarazzato nel collezionare espedienti allo scopo di accumulare ricchezze. Ciò che deve sorprendere è lo sguardo ammirato — che nessuna amministrazione umana potrebbe permettersi di avere — che il padrone riesce ad avere, molto naturalmente, nei suoi confronti: «Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza» (Lc 16,8). Soltanto qualcuno molto ricco e assai libero davanti al fascino delle ricchezze può permettersi una lode anziché cadere nel giudizio di accusa, a causa di quella sottile invidia che è facile e frequente provare davanti ai furbi (cf. 16,1). Inoltre, il Signore Gesù può prendere questo episodio come metafora di quello che serve saper vivere per entrare nel regno a causa di una universalità di significato racchiusa nella vicenda: «Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne» (16,9). I beni di questo mondo — non solo quelli accumulati con disonestà — sembrano descritti tutti come una ricchezza difettosa, in qualche modo fraudolenta. E le cose stanno proprio così! Infatti chi di noi può vantare un’amministrazione impeccabile delle cose ricevute in dono nel corso della vita?  Soprattutto chi può ripagare solo una parte di quanto, senza alcun merito, ha ricevuto dal cielo?  
Vera eredità
Diventano allora più comprensibili le domande con le quali il Signore Gesù esorta alla fedeltà nelle quotidiane cose — apparentemente — di poco conto, subito dopo aver narrato questa parabola: «Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?» (16,12-13). Così come esiste una ricchezza disonesta, che tutti traffichiamo in questo mondo, così ne esiste una vera, destinata a noi, che Dio desidera e può affidarci. Senza poter sapere in anticipo quale e quanta sarà questa meravigliosa eredità — che intanto chiamiamo vita eterna — ci viene svelata una gustosa caparra negli insegnamenti del Maestro. Sono le persone a cui possiamo fare del bene in questo mondo, aprendo loro le porte della nostra disponibilità, condividendo con loro le case e le cose di cui siamo temporanei custodi, offrendo loro lo spazio del nostro tempo e il calore del nostro sguardo. Sono gli altri, prossimi a noi, che oggi possiamo scegliere di far diventare nostri amici. Non per orgogliosa filantropia, ma per amore di giustizia. Consapevoli che uno solo è buono, mentre noi tutti solo in attesa di diventarlo. A partire dal cuore, dove prima o poi dovremo finalmente decidere da che parte stare. Non una volta per tutte, ma una volta per ciascuno: «Non potete servire Dio e la ricchezza» (16,13).  

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