I NOSTRI TERMINI

Lunedì – XXVI settimana del Tempo Ordinario

Gran parte del pensiero che abita il nostro cuore, anche — soprattutto — quello che a noi pare molto bello e ispirato, in realtà, è un impedimento all’azione di Dio e alla manifestazione della sua grazia. Non perché sia necessariamente un pensiero cattivo o orientato al male, ma perché (sotto)pone la realtà dentro i soliti nostri «termini» (Zc 8,1), razionali e molto umani, con i quali ci ostiniamo a misurare le cose, guarda la storia con i nostri occhi e non con quelli di Dio. Il profeta Zaccaria anticipa lo scetticismo di un popolo logorato dall’esilio, tentato di non credere alle promesse di riscatto e di felicità che Dio rivolge al suo avvenire, sollevando l’indispensabile interrogativo: 

«Se questa cosa sembra impossibile agli occhi del resto di questo popolo in quei giorni, 
sarà forse impossibile anche ai miei occhi?» (8,6)

Non meno profetica è la voce con cui il Signore Gesù cerca di distogliere i discepoli dai loro progetti di grandezza, ponendo un bambino vicino a sé e indicando la legge del minimo al posto di quella del massimo, a cui sempre aspira il nostro cuore frustrato.

«Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande» (Lc 9,48)

Nella vita i veri cambiamenti non avvengono mai quando puntiamo in alto o verso una narcisistica espansione del nostro io, ma quando scendiamo in basso, verso una seria e serena accettazione dei fragili confini che la realtà — anzitutto la nostra — possiede e continuamente manifesta. Laddove noi siamo sempre persuasi che solo un intervento esterno — magari quello di Dio, il «Signore degli eserciti» (Zc 8,6) — possa cambiare velocemente le sorti sempre avverse, il vangelo annuncia che l’unico movimento che scioglie la paralisi della nostra umanità è piuttosto una lucida e amorosa accettazione di noi stessi e degli altri. Con la stessa assenza di paura e di attese con cui un bambino è capace di lasciarsi abbracciare e circondare di attenzione.

Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise vicino 
e disse loro: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me» (9,47-48)

Finché siamo convinti che solo l’ingrandimento dei nostri spazi e l’amministrazione di qualche potere sia la via che conduce alla felicità restiamo pieni di pretese con noi stessi e di giudizio verso gli altri. E dimentichiamo che la conversione non è — e non può mai essere — un percorso impossibile. Convertirsi al vangelo significa disertare i nostri termini, oltrepassare le misure dei nostri occhi, accettare le legge del minimo. Scoprire che la realtà, così com’è, può diventare luogo e scuola di felicità. 

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