COME FA UN PADRE

Mercoledì – XXI settimana del Tempo Ordinario

Il Signore Gesù continua a rimproverare scribi e farisei per la loro ipocrisia. Dopo aver detto loro che si tratta di un atteggiamento molto grave, che impedisce agli altri l’accesso a Dio (lunedì) e offre un alibi per aggirare i precetti più importanti della Legge di Mosè (martedì), oggi il Maestro affonda il colpo, arrivando a sfidare l’orgoglio — sempre così da tutti noi coltivato — di essere, e non solo apparire, belle persone. 

«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati:
all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume.
Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, 
ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità» (Mt 23,27-28)

Gesù attacca radicalmente e risolutamente la sensazione — e la presunzione — di potersi accontentare di una buona facciata da esibire, senza fare i conti con le tenebre e il male latente che portiamo dentro il cuore. Si tratta di un pensiero magico che tutti conosciamo e coltiviamo, quello che ci spinge a investire tante energie per ordinare, pulire e mostrare l’aspetto più esteriore di quello che, giorno per giorno, ci ritroviamo a essere. A partire da un brutto malinteso: credere che sul palcoscenico della vita occorra sempre fare bella figura, per sedurre e conquistare lo sguardo degli altri. 

«Sapete pure che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, 
vi abbiamo incoraggiato e scongiurato di comportarvi in maniera degna di Dio, 
che vi chiama al suo regno e alla sua gloria» (1Ts 2,11-12)

San Paolo — il fariseo cieco convertito alla grazia del vangelo — attesta un modo tutto diverso di vivere ed esercitare la paternità nello spirito. Dopo la pasqua del Signore Gesù, non si tratta più di rimanere prigionieri del bisogno di far gli altri contenti o di legarli a noi, ma di entrare nella libertà di poter esortare tutti a condurre una vita all’altezza dell’amore di Dio. Il segno inconfondibile di questo coraggio è la capacità di rivolgere, umilmente, parole di Dio agli altri. E di non avere gioia più grande che quella di riconoscere come la sua accoglienza possa infondere reali capacità di trasformazione della vita. Per sé e, quindi, anche per gli altri.  

«Proprio per questo anche noi rendiamo continuamente grazie a Dio perché, 
ricevendo la parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, 
l’avete accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, 
come parola di Dio, che opera in voi credenti» (2,13)

Commenti